Il nuovo intervento della Corte Costituzionale in tema di licenziamenti individuali ...
Avv. Marco Andrea Baudino Bessone Con la recente ...
Come emerge chiaramente dai dati che sono sotto gli occhi di tutti, la crisi causata dall’emergenza Coronavirus e dalle misure restrittive emanate per contenere la diffusione del contagio non è solo finanziaria.
La prolungata limitazione e, in molti casi, la totale sospensione delle attività produttive, determinate dall’emergenza sanitaria, ha prodotto effetti pesantissimi, ed in alcuni casi devastanti, su un larghissimo numero di imprese, soprattutto piccole e medio piccole, che rappresentano comunque oltre il 95% del tessuto economico italiano. Con l’eccezione di alcuni comparti strategici esentati dalle misure restrittive (e che dall’emergenza sanitaria hanno potuto trarre vantaggio – quanto meno sul breve/medio periodo – in termini di aumenti di ordini, margini e fatturato), la generalità delle imprese (non solo in Italia, ma in Europa e nel resto del mondo) ha subito gli effetti di un incremento sensibile dei costi (conseguenti all’adozione delle misure igienico sanitarie) che si è sommato ad un calo significativo del fatturato (a causa delle limitazioni dell’attività, dell’annullamento di ordini, etc.): il che ha comportato e comporterà la necessità per le imprese di assorbire perdite rilevantissime che saranno solo in minima parte mitigate dal ricorso agli ammortizzatori sociali ed alle provvidenze previste dalla legislazione di emergenza.
La crisi causata dall’emergenza coronavirus impatta inoltre su uno scenario non solo italiano, ma europeo, a dir poco sconfortante, caratterizzato dall’incapacità delle imprese in crisi – per varie ragioni, interne ed esterne ad esse – di riorganizzarsi in una fase precoce e superare la crisi, per rimanere sul mercato[1].
Le misure finanziarie introdotte dal DL 18/2020, dal DL 23/2020 e dalle ulteriori disposizioni che sono state emanate a sostegno della liquidità delle imprese (al di là della macchinosità e degli elementi di discrezionalità che ne pregiudicheranno l’efficacia) sono dunque palesemente inidonee a gestire una crisi che è e sarà soprattutto economica, e che presenta gravi elementi di incertezza con riferimento tanto alla sua durata quanto alle modalità ed alle concrete possibilità di un suo superamento.
In questo scenario, è impensabile che le imprese possano superare la crisi con il ricorso all’indebitamento, incrementando il passivo in danno dei creditori sociali; così come non è ipotizzabile che le società in default possano proseguire la propria attività in perdita, sfuggendo ad ogni sanzione.
Occorre quindi che le imprese in crisi possano negoziare - in modo rapido, efficace e ragionevolmente sicuro per tutte le parti coinvolte - accordi di ristrutturazione del debito con tutti o con alcuni dei creditori; ovvero, qualora un accordo non sia raggiungibile, possano collocare l’azienda sul mercato in continuazione di attività: salvaguardando così i livelli occupazionali, il valore dell’azienda e la funzione di garanzia generica che essa riveste per i creditori e per i terzi, a vantaggio di tutti gli stakeholder su cui gli effetti della crisi inevitabilmente si riverberano (in linea con i principi enunciati dalla direttiva 1024/2019 UE e posti a base del D. Lgs. 14/2019, di adozione del CCII).
Nello scenario sopra illustrato, il Legislatore è intervenuto con l’art. 5 del DL 23/2020, che ha differito al 1°settembre 2021 l'entrata in vigore del CCII.
Il differimento è avvenuto sulla base della considerazione (esposta nella Relazione Tecnica al DL 23/2020) che il sistema delle c.d. misure di allerta, volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese, sarebbe stato “concepito nell’ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche” e che “in una situazione in cui l’intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.
L’osservazione è corretta. Tuttavia il differimento della data di entrata in vigore del Dlgs 14/2029, disposto senza distinguere tra le varie disposizioni contenute nel CCII, ha avuto purtroppo l’effetto di precludere l’accesso delle PMI anche alle misure di composizione assistita della crisi di cui agli artt. 16-25 CCII: misure che sono invece destinate ad operare anche indipendentemente dall’attivazione degli strumenti di allerta e che avrebbero invece consentito di far fonte alle esigenze esposte al paragrafo che precede.
Gli estensori della norma hanno giustificato la scelta di rinviare l’applicazione del CCII con l’opportunità “che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine”.
Ma questa considerazione non pare condivisibile.
Chi ha dimestichezza con il sistema disciplinato dalla Legge Fallimentare (un RD risalente al 1942, sottoposto nel corso degli anni a vari interventi di “restyling” volto ad adeguarlo alle esigenze dei tempi) sa perfettamente che le procedure di concordato sono spesso impercorribili per le complessità, i temi, gli intoppi procedurali ed il costo spropositato che comportano: con il risultato di trasformarsi, nella maggior parte dei casi, in una inutile e costosa anticamera del fallimento.
È inoltre irrealistico ipotizzare che il vecchio, costoso e macchinoso sistema di gestione delle insolvenze disciplinato dal RD 267/1942 – rivelatosi inidoneo a supportare le impese in un quadro economico di (relativa) normalità – sia in grado di affrontare un’emergenza che non ha precedenti e che, secondo le rilevazioni effettuate da CERVED, con misure che di fatto fermano l’economia delle aree più produttive del paese, esporrà al rischio di fallimento un’impresa su dieci[2].
Di fronte a questo scenario, le già limitate forze di cui dispongono le Sezioni fallimentari dei nostri Tribunali saranno palesemente insufficienti a gestire il sovraccarico di procedure concorsuali minori che inevitabilmente si genererà nei mesi a venire.
Occorre quindi privilegiare il ricorso agli strumenti già disponibili per favorire il raggiungimento di accordi negoziati tra tutte le parti coinvolte, agevolare la collocazione sul mercato delle aziende in default e alleviare il carico dei Tribunali, ricorrendo all’apporto dei numerosi professionisti già provvisti di specifica competenza ed esperienza in materia fallimentare e di quelli che si sono formati in vista dell’entrata n vigore del CCII.
Il ricorso al piano attestato di risanamento: una soluzione illusoria
In un quadro normativo sempre più caratterizzato da misure volte ad agevolare l’accesso al credito (e favorire l’incremento dell’indebitamento verso il sistema bancario di imprese già pesantemente esposte), il Legislatore è intervenuto con l’art. 9, comma 5-bis del Decreto Liquidità (23/2020), inserito in sede di conversione: la disposizione ha stabilito che “Il debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all'articolo 161, sesto comma, o all'articolo 182-bis, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può, entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d).
Si tratta, peraltro, di una norma a dir poco surreale.
È infatti difficile ipotizzare che, in una situazione di grave e perdurante incertezza quale quella che la maggiora parte delle imprese sta attraversando (in Italia e nel mondo), l’imprenditore in difficoltà a causa dell’emergenza COVID possa costruire in tempi brevi un ragionevole piano di risanamento, e farlo attestare, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 67, lettera d), LF.
La tattica del rinvio, cui nel nostro Paese spesso si ricorre per evitare di assumere iniziative politicamente scomode o troppo impattanti su prassi da tempo consolidate, pare scontrarsi anche con le raccomandazioni oggi condivise a livello mondiale ed espresse chiaramente nella relazione pubblicata dal Gruppo dei 30 presentato dal gruppo di lavoro sulla rivitalizzazione delle aziende capeggiato da Mario Draghi
Nella relazione si prende infatti atto che la pandemia, cambiando drasticamente i modelli di consumo e le attività aziendali, sta innescando una grave crisi di solvibilità delle imprese in molti paesi.
La relazione evidenzia che, oltre alle politiche a sostegno diretto dell’occupazione, le risposte politiche iniziali a sostegno delle imprese si sono concentrate essenzialmente sulle questioni di liquidità.
Tuttavia, con il progredire della crisi, servono tuttavia risposte che tengano conto dei cambiamenti strutturali innescati dalla pandemia e del fatto che, sebbene un certo sostegno alla liquidità sia ancora necessario, ora la questione cruciale è la solvibilità.
Come evidenziato da Draghi, “Policymakers need to act urgently, as the emerging solvency crisis is already eroding the underlying strength of the business sector in many countries. The problem is worse than it appears on the surface, as massive liquidity support, and the sheer confusion caused by the unprecedented nature of this crisis, are masking the full extent of the problem. We have a cliff edge of insolvencies, especially of small-and-medium-sized enterprises, coming in many sectors and jurisdictions, as support programs run off and existing net worth is eaten up by losses.[3]”
Per affrontare la crescente crisi di solvibilità delle imprese occorrono scelte improntate ad alcune considerazioni di fondo:
1) la prima considerazione attiene alle modalità di impiego delle risorse pubbliche. La crisi minaccia una prolungata stagnazione economica e danni per famiglie e lavoratori, se precipita in un’ondata di fallimenti o nella creazione di masse di imprese zombie. Occorre quindi indirizzare con attenzione il sostegno pubblico per ottimizzare l’uso delle risorse.
I policymakers devono considerare come allocare le risorse scarse e come facilitare un adeguato assorbimento delle perdite da parte degli attuali stakeholder.
2) La seconda considerazione, legata alla prima, è che non tutte le aziende in difficoltà dovrebbero ricevere un sostegno pubblico. L’aiuto indiscriminato comporta il rischio di imporre un onere significativo ai contribuenti. Le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento o che non ne hanno bisogno.
3) La terza considerazione è che la crisi, e i cambianti strutturali del contesto economico e sociale che ne sono derivati, hanno imposto alle imprese di riformulare i propri modelli di business. I governi dovrebbero quindi incoraggiare le trasformazioni necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creatrice” poiché alcune aziende chiudono e ne aprono di nuove, e i lavoratori hanno bisogno di spostarsi tra aziende e settori, attraverso un’adeguata assistenza e riqualificazione.
4) Ancora, occorre essere consapevoli dell’azzardo morale delle scelte adottate senza comprometterne gli obiettivi. Laddove le imprese sono entrate nella crisi con un indebitamento eccessivo, c’è il pericolo di “salvare” i proprietari e manager che si erano presi troppi rischi, il che può anche produrre problemi di azzardo morale attraverso l’aspettativa di salvataggi futuri. Allo stesso tempo, i governi dovrebbero evitare un’eccessiva attenzione sull’attribuzione di colpe: un tale approccio potrebbe danneggiare le misure essenziali di sostegno alle imprese necessarie per il bene della società.
5) Infine, occorre anticipare potenziali ricadute sul settore finanziario per preservarne la forza e consentire a esso di guidare la ripresa. Decisioni politiche dovrebbero evitare azioni che indebolirebbero in modo significativo il settore finanziario, come costringere le banche a concedere crediti in sofferenza per sostenere l’economia.
Questi principi forniscono una guida per le scelte spesso impopolari che la maggior parte dei governi dovrà fare. Quali, in particolare:
Il documento propone una “cassetta degli attrezzi” di misure per supportare le imprese:
Il documento conclude osservando che i policymaker devono agire con urgenza se ancora non lo stanno facendo. La crisi di solvibilità sta già erodendo la forza di fondo del settore delle imprese in molti paesi. È infatti necessaria un’azione per progettare e attuare le politiche e le strutture necessarie prima che le aziende falliscano.
Le raccomandazioni del G 30 si fondano sulle stesse considerazioni che sono state poste alla base della proposta di legge avanzata dal Centro Crisi dell’Università di Torino e l’ODCEC di Torino, con il Patrocino dell’Ordine avvocati di Torino, in data 7 maggio 2020, volta a facilitare l’accesso a forme di concordato stragiudiziale e consentire la ristrutturazione del debito e dei rapporti con clienti e fornitori al di fuori delle aule dei Tribunali, per tutte quelle imprese che hanno subito gli effetti della crisi ma che hanno conservato un nucleo vitale da salvaguardare.
La proposta prevedeva di recuperare le procedura di composizione assistita della crisi regolata dagli artt. 16-25 CCII, che si presenta come uno strumento agile, rapido ed efficace per gestire la crisi in tutte le situazioni (che gran parte delle PMI italiane si vedranno purtroppo verosimilmente costrette ad affrontare) in cui – per le dimensioni dell’attività e per il numero contenuto delle banche, dei creditori e dei forni-tori strategici – sia possibile riunire o quantomeno convocare le parti interessate attorno ad un tavolo, e il numero dei lavoratori sia tale da consentire una gestione personalizzata dei rapporti di lavoro.
Al fine di garantire la piena efficacia di tali procedure, le stesse erano state ripensate e riadattate all’attuale emergenza, attraverso la creazione di OCRI semplificati (rispetto a quelli attualmente previsti dall’articolo 16 e seguenti del CCII), al fine di assicurare alle PMI ridotti costi di gestione e maggiore agilità della procedura. In particolare, si era ipotizzato di:
a) snellire l’organico, allargando (pur nel rispetto dei requisiti di competenza e indipendenza) il novero dei professionisti abilitati a svolgere le funzioni di negoziazione e composizione;
b) introdurre meccanismi più agevoli di accesso alle misure protettive, al fine di evitare un eccessivo sovraccarico dei Tribunali e rendere la procedura complessivamente più celere;
c) consentire il regolare adempimento delle obbligazioni e favorire la liquidità, prevedendo che non siano revocabili i pagamenti effettuati da debitore, funzionali al mantenimento della continuità dell’impresa e sorti anche anteriormente all’avvio della procedura di composizione assistita della crisi;
d) estendere alle falcidie pattuite in sede di accordo di composizione assistita della crisi, lo stesso trattamento fiscale già previsto per i piani attestati di risanamento.
La proposta, sebbene sostenuta in modo trasversale da forze politiche, associazioni di imprenditori e parti sociali, non ha trovato accoglimento: in particolare in ragione della convinzione (diffusa presso molti studiosi e tecnici) che l’accesso agevolato ad accordi di ristrutturazione avrebbe condotto ad una dilazione/falcidia dei pagamenti, con ricadute negative sulle disponibilità finanziarie delle imprese già pesantemente gravate dalla crisi di liquidità determinate dalle misure restrittive.
La proposta (che è stata peraltro positivamente valutate anche dallo studio Assonime 8/2021, “Le procedure concorsuali dopo la crisi Covid- 19” - p. 23 e ss. e nt. 35), torna di attualità alla luce delle raccomandazioni del G 30, e potrebbe essere oggi nuovamente coltivata.
gestire le insolvenze ed affrontare la ripartenza con gli strumenti normativi vigenti
Di fronte al preoccupante perdurare ed aggravarsi della situazione di crisi ed alla necessità di dover gestire una crescita esponenziale delle insolvenze, sono state avanzate numerose proposte, più o meno articolate, di interventi normativi volti a gestire l’emergenza con strumenti nuovi e procedure concorsuali semplificate[4].
Tuttavia, nello scenario delineato nei paragrafi che precedono (caratterizzato da ritardi ed esitazioni del Legislatore incompatibili con la rapidità in cui si sta evolvendo la situazione economica), l’esigenza di raccogliere le istanze delle numerose imprese in default suggerisce di recuperare la valenza degli istituti e strumenti normativi già esistenti, interpretandoli ed applicandoli in un prospettiva evolutiva coerente con i principi della Direttiva 1023/2019 UE e con le raccomandazioni del G 30.
A tal fine occorre tuttavia superare alcuni ostacoli – pratici e normativi – che influiscono sulla possibilità di collocare sul mercato le aziende delle società assoggettate a procedure concorsuali.
Chi abbia avuto modo di confrontarsi con le problematiche legate all’acquisizione di aziende nell’ambito di procedure concorsuali, non può non aver constatato la rigidità di un sistema che, seppur ispirato a comprensibili e ragionevoli propositi in una situazione di normalità del mercato, appare invece assolutamente inadeguato per far fronte alle esigenze che si prospetteranno a seguito della crisi da COVID-19 e della successiva fase di ripresa[5].
Come è noto, la disciplina della dismissione delle aziende nell’ambito delle procedure concorsuali è stata innovata dall’introduzione di disposizioni volte a favorire e incentivare il principio della competitività in funzione del massimo realizzo delle attività fallimentari a tutela Dei creditori.
Si tratta delle disposizioni in tema di offerte concorrenti previste dall’articolo 163 bis legge fallimentare, e che si applicano alle procedure che prevedono la cosiddetta dismissione preconfezionata dell’azienda a favore di un acquirente già determinato[6].
L’ultimo comma dell’articolo 163 bis legge fallimentare stabilisce inoltre che le regole sulle procedure competitive trovano applicazione, in quanto compatibili, anche in caso di atti di straordinaria amministrazione da autorizzare ai sensi dell’articolo 161, comma 7, legge fallimentare, e di affitto di uno o più rami d’azienda.
Queste disposizioni prendono atto della prassi che si è ormai affermata di procedere a cessioni in pendenza del termine per il deposito del piano di concordato della proposta definitiva, al fine di evitare gli effetti devastanti che derivano dall’interruzione dell’attività aziendale per un periodo di tempo eccessivamente lungo, o comunque dalla stessa stagnazione dell’attività d’impresa nelle more delle procedure concordatarie.
Queste disposizioni riflettono tuttavia la preoccupazione per un tema che ha sempre rappresentato una criticità, anche in giurisprudenza, nelle cosiddette operazioni di vendita/affitto preconfezionati dell’azienda: e cioè la preoccupazione che la natura chiusa di tali operazioni, precostituita dal debitore e dall’investitore, sottraggano l’operazione al mercato della crisi, e siano quindi potenzialmente idonee a pregiudicare gli interessi della massa.
Proprio per contrastare i possibili abusi delle vendite o degli affitti preconfezionati è stata introdotta l’assoggettabilità di tali proposte alle procedure competitive, volte a perseguire la migliore soddisfazione dei creditori, previa autorizzazione da parte del tribunale.
Grazie alla sollecitazione di offerte concorrenti, l’eventuale aggiudicazione finale dell’azienda all’originario investitore non potrà essere ritenuta pregiudizievole per i creditori: ed infatti se il mercato, benché sollecitato, non ha manifestato interesse per l’azienda, ciò significa che la soluzione proposta dal debitore non può ritenersi pregiudizievole per i creditori anche se l’originario investitore ha avuto e continua ad avere un qualche interesse nel salvataggio della società in crisi ed in qualche modo vi partecipa.
Tuttavia se l’istituto delle offerte concorrenti rappresenta uno strumento utile per evitare distorsioni della concorrenza e garantire i creditori e l’acquirente, d’altra parte esso rischia di innescare un meccanismo perverso che tarda di fatto l’immissione sul mercato di beni asset e aziende che conserverebbero il loro valore se venissero tempestivamente alienate, senza attendere gli effetti della procedura competitiva.
L’avvio di procedure competitive rischia inoltre di ridurre l’interesse degli investitori a formulare la prima offerta, perché la stessa finisce spesso col divenire la sponda per la formulazione di offerte concorrenti, anche di poco vantaggiose, ma comunque tali da precludere l’aggiudicazione all’offerente iniziale: con l’effetto di creare sistemi di rialzo che vanno a scapito di chi per primo si è addossato l’onere di svolgere tutte le attività preliminari per valutare la bontà dell’operazione, elaborarne i termini e formulare la prima proposta.
Questa criticità comporta che nella maggior parte dei casi i potenziali interessati preferiscono attendere l’esito della procedura concorsuale, al fine di porsi su basi paritarie con gli altri potenziali interessati all’acquisto e concorrere non in situazione di svantaggio.
Sotto altro profilo, gli investitori hanno interesse ad entrare immediatamente nel possesso dell’azienda, anche mediante un affitto, al fine di preservare il nucleo produttivo del know how che sarebbe invece irrimediabilmente compromesso dalla gestione del debitore, nelle more dell’espletamento delle procedure competitive.
Da qui la necessità di trovare il giusto compromesso tra le esigenze di urgenza nella ricollocazione sul mercato dell’azienda, e le esigenze di garantire trasparenza attraverso procedure volte a valorizzare al meglio gli asset nell’interesse dei creditori.
Uno sguardo ai Paesi vicini: la Spagna - La "pre-packed insovency", o “fallimento preconfezionato”
Alcuni interessanti spunti di riflessione provengono dalla Spagna, che, al pari dell’Italia, ha varato negli anni passati alcune significative leggi di riforma della disciplina fallimentare ma non ha ancora recepito la direttiva UE 1023/2019.
In questo contesto, pur in assenza di una specifica regolamentazione normativa della materia, i tribunali di commercio di alcune province (come Barcellona e le Isole Baleari) stanno applicando lo strumento della cosiddetta "pre-packed insovency", o procedura concorsuale “preconfezionata”. Si tratta di procedure recentemente elaborate da alcuni tribunali di commercio della Spagna, che hanno stabilito le linee guida che compongono un cosiddetto "protocollo” di “procedura fallimentare pre-confezionata” che i giudici commerciali delle Isole Baleari hanno approvato all'unanimità nel consiglio settoriale dei Tribunali di commercio del 28 Aprile 2021.
Questo istituto pre-fallimentare prevede la nomina di un esperto indipendente, prima della dichiarazione di fallimento del debitore, per analizzare e riferire sulle offerte di acquisto dell'azienda.
Lo strumento consiste nella realizzazione di operazioni preliminari all’esitazione dei beni dell’impresa in crisi (l'intera azienda, unità produttive o di business, o vendita in blocco di beni) che, su iniziativa del debitore, vengono “preconfezionate” prima dell'apertura di una procedura fallimentare sotto la supervisione di un esperto indipendente in materia di ristrutturazione, nominato dal giudice delegato del futuro fallimento, che autorizza / attua tali operazione immediatamente dopo la dichiarazione di fallimento. Ciò al fine di velocizzare il processo di cessione dell'azienda in continuità d’impresa quando non si sia raggiunto un accordo con i creditori o i tempi per raggiungerlo siano incompatibile con la situazione di difficoltà e di urgenza in cui versa la società[7].
Il protocollo approvato dai Tribunali di commercio spagnoli si fonda sulla constatazione che, nella pratica, il complesso processo di alienazione delle aziende nell’ambito delle procedure concorsuali (a causa de rispetto dei termini, forme e procedure che lo regolano) richiede tempi minimi non sempre compatibili con l’esigenza di conservare i posti di lavoro, l'attività d’impresa e l’azienda, il cui valore si deteriora rapidamente e irrimediabilmente a seguito della dichiarazione di fallimento.
L'esperienza insegna infatti che il trasferimento di azienda o di un’unità produttiva nell’ambito di una procedura concorsuale, spesso non consente di dare continuità al progetto imprenditoriale, fondamentalmente perché una volta che il fallimento inizia, si crea una perdita di competitività, il patrimonio dell'azienda viene svalutato e questo fa sì che l'operazione declini o perda interesse per l'acquirente e per il fallito stesso.
Sotto altro profilo il Protocollo prende atto del fatto che in molti casi il debitore, prima di richiedere il fallimento o accedere ad una procedura concorsuale, ha già messo in atto un processo di ricerca di investitori e offerenti finalizzato a salvare in tutto o in parte la propria attività imprenditoriale, compresi i posti di lavoro. Detto processo e impegno da parte del debitore viene poi rallentato quando non condizionato dai tempi procedurali, una volta dichiarato il fallimento. A ciò si aggiunge il fatto che, trattandosi di iniziative di parte, l’attività di ricerca di offerenti o investitori effettuata dal debitore deve essere verificata e vagliata in giudizio, dall'amministrazione fallimentare, ove addirittura non interamente rinnovata, al fine di rendere espliciti i requisiti di pubblicità, trasparenza e concorso dinanzi ai creditori e dinanzi al giudice del fallimento.
Al contrario, il Pre-Pack consente alla società in stato di insolvenza attuale o imminente di predisporre e organizzare la futura vendita dell'unità produttiva già nella fase antecedente il fallimento, mediante la nomina, da parte del giudice competente a conoscere della successiva procedura concorsuale, di un temporary manager, futuro curatore fallimentare, la cui funzione primaria è quella di controllare che la procedura di selezione dell'offerta o delle offerte vincolanti che il debitore intende sottoporre, insieme alla istanza di fallimento, al tribunale commerciale competente, risponda ai requisiti di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento, e che nello stesso processo gli interessi dei creditori e dei lavoratori siano stati debitamente garantiti.
Si tratta di un meccanismo pre-fallimentare ibrido, che culmina nella cessione dell'unità produttiva prima del fallimento, che si aprirà formalmente dopo la vendita garantendo ai creditori l’applicazione delle regole del concorso, che può salvare l'attività di molte aziende nell’attuale situazione di crisi economica, e che (si legge nel Protocollo) si è rivelato una efficace alternativa a quelle esistenti, anche in quanto consente di evitare i delicati profili di responsabilità in cui incorrerebbe l’organo amministrativo della società in caso di alienazione dell’azienda in presenza di una situazione di insolvenza attuale o imminente.
Il Protocollo mira al raggiungimento di una serie di obiettivi: a) massimizzare il prezzo di vendita degli asset e delle aziende delle società insolventi non ancora dichiarate fallite, con un'unità produttiva in funzione; b) evitare la distruzione del tessuto imprenditoriale; c) conservare la rete economica costituita dalle piccole imprese (ospitalità, vendita al dettaglio, ecc.); d) salvaguardare i livelli occupazionali; e) garantire una migliore soddisfazione dei creditori rispetto alla cessione dell'azienda nell'ambito di una procedura fallimentare, grazie ad una procedura che facilita e snellisce il processo di collocamento dell’azienda sul mercato con le dovute garanzie di pubblicità, trasparenza, partecipazione e interpello dei principali stakeholder (creditori privilegiati, creditori pubblici e lavoratori), in quanto il processo di alienazione avviene sotto la supervisione di un esperto o amministratore indipendente in materia di ristrutturazioni (futuro curatore fallimentare ), designato dal tribunale di commercio su richiesta del debitore.
L’aspetto interessante è che il protocollo è stato adottato in un Paese ad elevata vocazione turistica (la Spagna) e con un tessuto imprenditoriale composto prevalentemente da piccole e medie imprese, quindi con forti analogie a quello italiano.
Nel Protocollo si osserva infatti che la procedura pare particolarmente utile e adatta proprio nell'attuale contesto economico-imprenditoriale del territorio insulare delle Baleari, a seguito della paralisi economica, soprattutto del settore turistico, derivante dalla pandemia causata dal COVID-19, nonché dai provvedimenti legislativi adottati per evitare o ritardare le dichiarazioni di fallimento e l'apertura della fase di liquidazione di quelle già dichiarate.
Per quanto attiene al suo inquadramento nel contesto normativo comunitario, il Protocollo osserva che lo strumento del “Pre-pack” è perfettamente coerente con lo spirito e le finalità della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, sui quadri di ristrutturazione preventiva che, tra i suoi obiettivi, include proprio l’adozione di misure volte a garantire una procedura di liquidazione più ordinata ed efficiente, riducendo l'eccessiva durata delle procedure concorsuali e favorire le possibilità di recupero dell’attivo.
In questo senso l'art. 2.1.1) della predetta Direttiva include nel concetto di "ristrutturazione" la cessione di beni o parti di azienda nonché la cessione di azienda come impresa in funzionamento. E l’art. 2.1.12) definisce la figura dell '“amministratore in materia di ristrutturazioni” come il soggetto o ente nominato da un'autorità giudiziaria o amministrativa con, tra le altre funzioni, quella di assistere il debitore o creditori, supervisionare le trattative, informare l'autorità giudiziaria o amministrativa e assumere il controllo parziale dei beni e delle attività del debitore durante questo processo.
Infine l'art. 4.5 sottolinea che il quadro di ristrutturazione preventiva istituito in virtù della direttiva può consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono essere sviluppate in un contesto stragiudiziale, fatto salvo qualsiasi altro quadro di ristrutturazione previsto nelle normative nazionali.
In conformità a quanto precede, in assenza di espressa regolamentazione giuridica e di recepimento della predetta Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva, il Protocollo definisce le linee guida che devono informare l’adozione, da parte dei Tribunali, della procedura di “Pre-pack”.
Gli aspetti centrali della procedura
1). Presupposti, forma e contenuto della domanda
1.1. Il meccanismo del Pre-Pack fallimentare ha lo scopo di anticipare, in una situazione precedente alla dichiarazione di fallimento, la predisposizione di una procedura di vendita pubblica, trasparente e concorrente dell'Unità Produttiva, sotto la vigilanza di un esperto indipendente nominato dal Tribunale di Commercio, che eserciterà poi la carica di curatore fallimentare una volta dichiarato il fallimento.
1.2. Nella stessa istanza al Tribunale di Commercio di accesso ad una procedura di concordato o di fallimento il debitore può comunicare di aver avviato operazioni sui beni della società (l'intera società, unità produttive o di business, o vendita in blocco di beni), allegando una relazione dettagliata sulle stesse. Con la stessa istanza il debitore può richiedere la nomina di un esperto o amministratore indipendente in materia di ristrutturazione, cui sarà, affidata la gestione interinale dell’impresa.
1.3 La domanda deve essere corredata, tra i vari documenti, da un elenco delle associazioni rappresentative, di settore e territoriali, delle società concorrenti o della stessa catena del valore, nonché di fondi finanziari o industriali, o investitori diretti, nazionali o esteri, che il debitore ha già contattato e / o si impegna a contattare durante la procedura, ai fini della ricerca di potenziali parti interessate o offerenti o offerenti nell'acquisizione in corso di preparazione.
1.4. Nelle proprie comunicazioni, il richiedente si impegna inoltre a informare i soggetti contattati dell'esistenza di un Registro (attivo in Spagna) delle parti interessate dove possono registrarsi i potenziali offerenti.
2). Fase preliminare delle operazioni di Pre-pack
2.1 Le informazioni relative a questa fase di preparazione delle operazioni sui beni della società, sono assoggettate all’obligo di riservatezza.
2.2 L'esperto o amministratore indipendente in materia di ristrutturazione nominato in questa fase di pre-insolvenza sarà anche il curatore fallimentare, una volta dichiarata l'insolvenza, e sarà soggetto alle norme che disciplinano l'amministrazione fallimentare, in particolare, in materia di nomina e responsabilità.
2.3 Fino al momento della dichiarazione di insolvenza, l’amministratore indipendente o esperto in materia di ristrutturazione deve sempre rispettare, senza interferire, i poteri di amministrazione e disposizione che il debitore mantiene sul proprio patrimonio, salvo l’obbligo di riferire per iscritto i propri rilievi agli organi della procedura.
2.4 Le funzioni dell'amministratore indipendente o esperto in materia di ristrutturazione sono:
a) assistere il debitore nella preparazione delle operazioni di dismissione e vigilare sul suo operato;
b) acquisire familiarità con l'attività della società;
c) informare i creditori del processo, partecipando, se del caso, alle trattative, in particolare con creditori privilegiati e pubblici, nonché con i rappresentanti dei lavoratori.
d) verificare e vigilare sulla regolarità, pubblicità e trasparenza nella predisposizione delle operazioni di alienazione dei beni della società, garantendo in particolare parità di accesso alle stesse informazioni e pari opportunità ai potenziali soggetti interessati, ai fini di una leale competizione tra offerenti.
e) redigere un rendiconto finale della gestione svolta e, in particolare, delle vendite degli asset della società.
2.5 Nel processo di predisposizione delle operazioni di vendita e di ricerca degli offerenti, devono essere rispettate, in quanto applicabili, le regole stabilite dal Testo Unico della Legge Fallimentare spagnola per la cessione di unità produttive, che ben si adatta a questa fase pre-fallimentare, nonché le regole di base per la vendita di unità produttive nella procedura fallimentare aggiornate dai Tribunali Mercantili di Barcellona.
2.6 Questa fase preliminare si conclude con l'emissione da parte dell'esperto o amministratore indipendente in materia di ristrutturazione di una relazione finale sulla gestione effettuata.
2.7 La relazione viene resa nota al debitore, al tribunale competente, alla rappresentanza dei lavoratori e ai creditori più rilevanti e, comunque, ai creditori privilegiati e ai creditori pubblico.
Questa relazione finale sulla gestione deve contenere, in particolare, una risposta imparziale e indipendente ai seguenti quesiti:
a) Se la pubblicità della procedura di esitazione è stata sufficiente per garantire la massima partecipazione di tutte le parti interessate;
b) Se le informazioni fornite a tutte le parti interessate durante la procedura sono state eseguite in termini e modalità tali da garantito pari opportunità;
c) Se, in conseguenza di quanto precede, sia stata garantita la libera e leale concorrenza tra le parti interessate;
d) Se il prezzo finale offerto per l'acquisizione dell'attività è stato congruo;
e) Se le parti interessate (finanziarie o industriali) hanno anticipato acconti sul prezzo finale che sono risultati essenziali e necessari per la conservazione dell'attività aziendale e del suo valore durante ka procedura
f) Se e quale deprezzamento i beni subirebbero, una volta dichiarato il fallimento, nel caso in cui la vendita non venisse immediatamente attuata.
3. Fase giudiziaria di autorizzazione e attuazione delle operazioni di “vendita preconfezionata”
3.1. Esaurita la fase pre-concorsuale, con la richiesta di fallimento il debitore deve allegare la relazione finale dell'esperto o dell'amministratore indipendente in materia di ristrutturazione, nonché le offerte di acquisto vincolanti dell'intera azienda, di rami aziendali, o di beni in blocco.
Le offerte devono inoltre prevedere:
1 °. L’Identificazione dell'offerente e le informazioni sulla sua solvibilità economica e finanziaria (che deve garantire la continuità e il mantenimento dell'Unità Produttiva una volta ceduta) e le risorse umane e tecniche a sua disposizione.
2 °. La determinazione dei beni, diritti, obblighi, contratti, licenze o autorizzazioni inclusi nell'offerta e nel perimetro dell'Unità Produttiva.
3 °. Il prezzo, il metodo di pagamento e le garanzie fornite. Se ci sono beni con privilegio speciale, si deve fare una distinzione tra il prezzo che offrirebbe con sussistenza o senza sussistenza delle garanzie.
4 °. La surrogazione o meno nei contratti di lavoro.
5 °. La surrogazione o meno nei contratti con effetti obbligatori in attesa di adempimento da parte di entrambe le parti.
6 °. L'assunzione o meno di crediti contro la massa o il fallimento.
8 °. Le modalità di trasmissione dell'Unità Produttiva (cessione, conferimento di ramo di attività, ecc.).
9 °. Dichiarazione di collegamento o meno dell'azienda che offre l'Unità Produttiva con il fallito.
10 °. Se l'acquisizione viene effettuata tramite una società di nuova costituzione ("NEWCO").
3.2 Decorsi dieci giorni dal deposito dell’istanza, il Tribunale emette un provvedimento con il quale dichiara il fallimento, nomina il curatore (nella persona dell’esperto già designato per la fase preconcorsule) e autorizza o nega le operazioni di vendita predisposte.
Un esempio da imitare
Il protocollo di adozione del “Pre-pack” costituisce un esempio illuminante del ruolo fondamentale che la magistratura (ed in particolare le sezioni fallimentari dei Tribunali) potrebbero svolgere in questo complesso e difficile momento storico, in cui la disciplina vigente in materia di gestione della crisi si rivela palesemente inadeguata.
Da un lato, infatti, l’eccezionalità e imprevedibilità della situazione con cui tutto il mondo ha dovuto confrontarsi ha reso necessario rivedere principi i fondamentali su cui poggiavano le riforme avviate ed in corso di adozione. D’altro lato, l’esigenza e l’urgenza di favorire con ogni mezzo il superamento della crisi e la ripresa economica richiedono iniziative rapide e concrete, incompatibili con i tempi richiesti per complesse rielaborazioni sistematiche della normativa di settore.
Da qui l’esigenza di utilizzare in modo proattivo gli strumenti già esistenti, in linea con le raccomandazioni provenienti da più fonti (il riferimento è alla Direttiva 1023/2019 ed al monito di Mario Draghi al G 30).
In questo senso, il Protocollo di adozione del “Pre-pack” applicato in Spagna è la dimostrazione di un accostamento pratico e operativo al problema della gestione della crisi che potrebbe essere preso ad esempio anche dalle Sezioni fallimentari dei nostri tribunali per facilitare la circolazione e il risanamento delle aziende con gli strumenti esistenti, nell’attesa che le forze politiche e gli esperti in campo trovino il consenso sulla “riforma della riforma”.
Si tratta, invero, di una iniziativa sicuramente ispirata da una penetrante conoscenza delle dinamiche dell’impresa, da un forte senso pratico e da una sensibilità per le problematiche operative che è difficile calare nel nostro sistema di amministrazione della giustizia, che solo di recente (con l’introduzione delle Sezioni specializzate) ha iniziato ad evolversi ed allinearsi con gli altri Paesi europei, e che è ancora caratterizzato dalla tendenza dei Tribunali fallimentari a riservarsi poteri penetranti di sindacato sulle attività prodromiche all’avvio di procedure concorsuali.
Questa tendenza trova comprensibile (ma non sempre condivisibile) spiegazione nella convinzione che la moltiplicazione dei controlli esterni, l’inasprimento delle pene e l’ampliamento del potere di ingerenza dei tribunali siano idonei a limitare i – purtroppo – assai frequenti abusi (quali quelli che abbiamo potuto constatare, per esempio, con riferimento al ricorso al cosiddetto “concordato in bianco” o con prenotazione”): abusi che, invece, potrebbero essere più efficacemente prevenuti ovviando alla cronica lentezza e ad una sostanziale inefficienza della giustizia in una realtà economica e sociale caratterizzata, da un lato, da un decadimento del senso morale comune e d’altro lato da un sostanziale abbassamento della soglia di reazione avverso comportamenti spregiudicati che, anziché generare riprovazione sociale e determinare l’emarginazione dei responsabili dal contesto sociale in cui operano, oggi sono invece spesso accettati se non addirittura giustificati (ai più vari livelli) come strumento per raggiungere il fine in una situazione generale che offre poche prospettive a chi voglia inserirsi nel contesto economico (lavorativo o imprenditoriale) esclusivamente contando sulle proprie forze e capacità.
Tuttavia, l’eccezionalità della situazione che i Tribunali dovranno fronteggiare richiede una svolta coraggiosa, proprio per evitare che la rigidità del sistema e la complessità delle procedure finiscano con il favorire, anziché contenere, il rischio che si vuole evitare: e cioè il rischio che le aziende ancora sane e in grado di rilanciarsi finisca nelle mani di speculatori se non di organizzazioni malavitose.
Il “vecchio” fallimento può diventare il “nuovo” strumento con cui attuare la “distruzione creativa” preannunciata dal G30 per affrontare la ripartenza con gli strumenti a disposizione
La soluzione adottata dai Tribunali Spagnoli potrebbe costituire un utile spunto di riflessione per adottare anche nel nostro Paese soluzioni analoghe, utilizzando in modo flessibile gli strumenti già esistenti.
Il riferimento è all’art. 15 LF, che al comma 8 stabilisce che “Il l tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza”.
Si consideri al riguardo che:
Si ritiene inoltre che tra i provvedimenti cautelari o conservativi previsti dall’articolo 15, comma 8, legge fallimentare, siano ammissibili[8]:
Orbene, l’autorizzazione del sequestro giudiziario dell’azienda consentirebbe di preservarne l’integrità ed il valore, sottraendola all’aggressione dei creditori nella fase necessaria a raccogliere le offerte di acquisto da parte dei potenziali terzi interessati.
La misura esplicherebbe quindi effetti protettivi analoghi a quelli conseguenti alla presentazione di un’istanza di concordato in bianco.
L’affidamento della custodia al debitore e l’affiancamento all’organo gestorio di un curatore speciale o amministratore giudiziario investito dei necessari poteri di ispezione e gestione, modulati secondo le esigenze del caso, consentirebbero inoltre di salvaguardare le esigenze di trasparenza, garantire che l’amministrazione della società sia improntata a una gestione conservativa, e verificare che l’attività propedeutica alla cessione dell’azienda avvenga nell’interesse dei creditori sociali e nel rispetto – per quanto possibile – della par condicio creditorum.
Questa soluzione si proporrebbe inoltre come una valida alternativa all’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito di cui all’articolo 104 LF: essa consentirebbe infatti di superare le delicate e ben note problematiche (operative, procedurali, e di responsabilità), che l’esercizio provvisorio comporta e che rendono tale istituto di limitata e poco diffusa applicazione (frustrando, peraltro, le aspettative del legislatore della mini-riforma del 2006, che lo aveva ipotizzato come lo strumento principe per salvaguardare il valore aziendale delle imprese assoggettati a fallimento).
Lo strumento del Pre-pack, attuato nell’ambito dei provvedimenti consentiti dall’art. 15 LF, consentirebbe anche di superare le problematiche legate all’altra soluzione adottata per garantire la continuità di impresa e salvaguardare il valore dell’azienda nella fase pre-concorsuale: e cioè la soluzione dell’affitto d’azienda (stipulato dal debitore, ancor prima della proposizione di istanza di fallimento, ovvero dal curatore, successivamente alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’articolo 104 bis legge fallimentare). Questa soluzione, infatti, è mal vista dai potenziali interessati all’acquisto (che con l’affitto assumono responsabilità solidale per i debiti e le obbligazioni nascenti dai contratti di lavoro), e spesso anche dagli organi fallimentari (in quanto rischia di creare posizioni di privilegio in capo all’affittuario e vincoli alla successiva collocazione dell’azienda sul mercato).
La vendita dell’azienda potrebbe avvenire subito dopo la dichiarazione di fallimento, ad opera del curatore fallimentare (che potrebbe essere nominato nella persona del curatore speciale già incaricato della supervisione della gestione con il provvedimento cautelare iniziale.
La vendita avverrebbe nel rispetto delle esigenze di trasparenza e competitività previste dall’art. 107 LF (esigenze che verrebbero già soddisfatte nella fase pre-concorsuale, con l’individuazione del miglior offerente, cui verrebbe aggiudicata l’azienda dopo la dichiarazione di fallimento).
E la vendita, effettuata successivamente alla dichiarazione di fallimento, avverrebbe con totale sicurezza per l’acquirente, in quanto sarebbe assoggettata all’art. 105, comma 2 LF, che prevede che “salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del fallimento”.
il “fresh start reporting”
Un altro interessante spunto di riflessione si può trarre dal Chapter 11 del Bankruptcy Code americano, menzionato in un interessante studio di A. SAVOIA[9], e che ben potrebbe essere preso ad esempio nel nostro sistema.
L’autore evidenzia come, sulla base delle disposizioni del Chapter Eleven sopra richiamate, la prassi contabile americana che si è sviluppata prevede che l’impresa debitrice non sia favorita nel risanamento aziendale solo dal punto di vista giuridico, attraverso l’esdebitazione che consegue all’omologazione della procedura. Infatti accanto alla riduzione del passivo conseguente alla falcidia dei creditori si affianca il beneficio del fresh start reporting: un ulteriore vantaggio prettamente contabile il quale dà la possibilità di incrementare i valori degli attivi, portando ulteriori effetti positivi sul bilancio dell’impresa risanata.
L’applicazione del fresh start reporting prevede che il debitore, dopo aver determinato il valore dell’impresa risanata, procede ad allocare questo valore tra i beni tangibili e intangibili dell’attivo, e per l’eventuale eccedenza a una posta di bilancio assimilabile all’avviamento.
Le passività, da parte loro, saranno iscritte al valore cui le stesse dovranno essere effettivamente pagate, nell’ammontare previsto dal progetto di riorganizzazione omologato dal tribunale ed a seguito delle falcidie operate.
Ben si comprende l’evidente vantaggio di poter agire in tal modo su due versanti per dotare l’impresa in crisi di una maggiore patrimonializzazione, adeguata e funzionale per continuare ad operare sul mercato. Aspetto questo di assoluta importanza considerato che, in questa tipologia di procedure di composizione della crisi, la liquidità necessaria al soddisfacimento dei creditori sociali deriverà proprio dei flussi conseguenti alla continuazione dell’attività.
La maggior patrimonializzazione della società deriverà quindi non solo dallo stralcio delle passività esistenti alla data di accesso al Chapter Eleven (come del resto avviene anche nell’ambito delle procedure con cui usuali in Italia), ma altresì attraverso la rivalutazione delle voci dell’attivo, tenendo conto che in questa fase potranno essere valorizzati asset immateriali come marchi brevetti e altri beni intangibili non iscritti in contabilità.
Come opportunamente rilevato dall’autore, il ricorso al fresh start reporting ben potrebbe essere adottato anche in Italia per introdurre due aspetti positivi dei quali beneficerebbero tanto le imprese colpite direttamente dalla crisi, quanto più in generale l’intero sistema economico.
Il primo aspetto è quello di mantenere l’impresa in difficoltà in condizioni di ritornare sul mercato esdebitata e adeguatamente ripatrimonializzata, in una situazione ottimale per il rilancio, facilitando in tal modo il suo processo di risanamento anche tramite l’accesso al sistema bancario e ad altre forme di finanziamento.
Il secondo, non meno importante aspetto, è quello di facilitare - attraverso il cambiamento della compagine sociale e del management - la fuoriuscita dal mercato di un soggetto economico espressione del precedente azionista di maggioranza, rivelatosi incapace a gestire l’impresa con successo, a beneficio di tutti gli operatori economici del settore.
Le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro del G 30 dovrebbero porre fine alle politiche attendiste e portare in tempi brevi, se non all’entrata in vigore delle disposizioni del CCII (che, almeno per quanto attiene alle misure di allerta, appaiono oggi sicuramente troppo rigide), quanto meno all’adozione di strumenti semplificati volti a gestire la composizione della crisi, sull’onda della proposta di legge cui si è accennato in precedenza.
Se così sarà, ai professionisti (avvocati, commercialisti, ma anche consulenti del lavoro e giuristi d’impresa) si prospetterà l’occasione per svolgere un ruolo centrale ai fini della ripresa.
E ciò avverrà sia nell’ipotesi in cui la società debba essere assistita nella fase di “attesa” (con tutte le problematiche connesse alle responsabilità degli organi di governo nella gestione della crisi), ed eventualmente accompagnata al fallimento; sia nel caso in cui sussistano i presupposti per la ripartenza, nell’ambito di un accordo (in sede stragiudiziale o concorsuale) con i principali stake-holders.
L’assistenza all’imprenditore che si accinga a negoziare un accordo con i creditori è, infatti, un’attività complessa, spiccatamente interdisciplinare, che necessariamente richiederà il coinvolgimento di più figure professionali.
Ed infatti, indipendentemente dalle dimensioni e dalla complessità dell’impresa, qualunque ipotesi di accordo presupporrà l’elaborazione di un piano, pur rudimentale, di riorganizzazione aziendale, che illustri le misure proposte e la loro ragionevole idoneità a conseguire gli obiettivi perseguiti. Questo piano dovrà inoltre fondarsi su dati storici e prospettici attendibili, ricavabili dalla contabilità aziendale. Nella fase preliminare, di elaborazione dei dati e della proposta da sottoporre ai creditori (e agli altri soggetti interessati), ed in quella successiva, della loro illustrazione e negoziazione, sarà quindi indispensabile l’apporto di un professionista provvisto di competenze aziendalistiche e contabili. Né si potrà ignorare l’impatto fiscale (per il debitore e per i creditori) delle possibili soluzioni: per cui saranno necessarie competenze adeguate anche in materia fiscale.
La proposta di un “concordato” (giudiziale o stragiudiziale) non potrà inoltre non tener conto dell’impatto sui rapporti di lavoro: donde si renderanno necessarie le competenze giuslavoristiche richieste per la gestione di questi rapporti.
Infine, ai fini della strutturazione dell’accordo (o degli accordi) con creditori, banche, clienti e fornitori strategici, sarà indispensabile il supporto dell’avvocato, in considerazione delle molteplici questioni giuridiche che entrano in gioco (anche ai fini della valutazione delle soluzioni che si pro-spetterebbero in caso di mancato raggiungimento di un accordo). E non si può escludere che – proprio in considerazione degli obblighi di verità e trasparenza sopra evidenziati – in alcune situazioni si renda necessario valutare possibili risvolti penalistici.
Ai fini di assistere le imprese nella fase del Post COVID sarà quindi fondamentale la capacità dei professionisti di staccarsi da logiche individualiste e di creare reti, così da offrire assistenza integrata nei vari settori di competenza richiesti, a condizioni sufficientemente remunerative ma allo stesso tempo accessibili anche per le piccole imprese che maggiormente hanno risentito della crisi e non possono organizzare da sole la ripartenza.
Alessandro Baudino
[1] Secondo i dati riportati nella Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2016/0359, 50% è la percentuale delle imprese con una durata di vita inferiore a 5 anni; 200 000 all’anno, e cioè mediamente 600 al giorno, è il numero dei fallimenti; e 1,7 milioni è il numero dei posti di lavoro persi ogni anno. In Italia, secondo le risultanze della Commissione Rordorf, 26 miliardi è il passivo aggregato delle procedure fallimentari pendenti presso il Tribunale di Milano; 160 miliardi è l’ammontare dei crediti vantati dall’Agenzia delle Entrate/Enti di riscossione verso imprese fallite; e 87% è la percentuale delle società che alla data di accesso alle procedure concorsuali erano tecnicamente fallite da oltre 3 anni).
[2] I dati sono illustrati nello studio: Cerved Rating Agency – The impact of Coronavirus on Italian non-financial corporates, reperibile su https://know.cerved.com.
[3] “I policymakers devono agire con urgenza, poiché la crisi di solvibilità sta già erodendo la forza delle imprese in molti paesi. Il problema è peggiore di quanto appaia in superficie, poiché il massiccio sostegno alla liquidità e la confusione causata dalla natura senza precedenti di questa crisi stanno mascherando l’intera portata del problema, con un “precipizio” di insolvenze in arrivo in molti settori mentre i programmi di sostegno si assottigliano e il patrimonio netto esistente viene consumato dalle perdite”.
[4] G. CORNO – L. PANZANI, La disciplina dell’insolvenza durante la pandemia da covid-19. spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, in www.ilcaso.it - Crisi d’Impresa e Insolvenza, 27 aprile 2020, pag. 16; G. CORNO – L. PANZANI, Proposta di legge per una moratoria straordinaria volta a gestire l’emergenza, tramite l’istituzione della procedura di “amministrazione vigilata”, in www.ilcaso.it - Crisi d’Impresa e Insolvenza, 6 maggio 2020; V. MINERVINI, Le procedure concorsuali dopo il Lock-down: dal concetto di insolvenza a quello di “risanabilità” – Un possibile modello normativo e procedimentale per affrontare la “fase 2”, in AA. VV., Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, a cura di S. AMBROSINI e S. PACCHI, Zanichelli, Bologna, 2020, p.616 e ss; F. BENASSI, Brevi spunti per un’agile procedura di sostegno alle imprese in crisi da coronavirus, in AA. VV., Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, a cura di S. AMBROSINI e S. PACCHI, Zanichelli, Bologna, 2020, p. 625 e ss.; F. FIMMANÒ, La resilienza dell’impresa di fronte alla crisi da coronavirus mediante affitto d’azienda alla newco-start up, auto-fallimento e concordato “programmati”, in www.ilcaso.it - Crisi d’Impresa e Insolvenza, 6 maggio 2020, 1 aprile 2020.
[5] Il tema è affrontato in modo puntuale nell’articolo di M. BOCCARA in precdenza citato, e da cui sono riprese le considerazioni che seguono (M. BOCCARA, L’aggregazione tra imprese quale strumento per fronteggiare la crisi, in: AA. VV., Oltre la crisi, riflessioni e proposte sui nodi che ostacolano la ripartenza, Egea, Milano, 2020, p. 263 e ss.
[6] L’articolo 163-bis legge fallimentare, sotto la rubrica “Offerte concorrenti”, stabilisce:
“1. Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), comprende una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni, il tribunale dispone la ricerca di interessati all’acquisto disponendo l’apertura di un procedimento competitivo a norma delle disposizioni previste dal secondo comma del presente articolo. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo d’azienda o di specifici beni.
2. Il decreto che dispone l'apertura del procedimento competitivo stabilisce le modalità di presentazione di offerte irrevocabili, prevedendo che ne sia assicurata in ogni caso la comparabilità, i requisiti di partecipazione degli offerenti, le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta, la data dell'udienza per l'esame delle offerte, le modalità di svolgimento della procedura competitiva, le garanzie che devono essere prestate dagli offerenti e le forme di pubblicità del decreto. (…).
3. Le offerte sono rese pubbliche all'udienza fissata per l'esame delle stesse, alla presenza degli offerenti e di qualunque interessato. Se sono state presentate più offerte migliorative, il giudice dispone la gara tra gli offerenti. La gara può avere luogo alla stessa udienza o ad un'udienza immediatamente successiva e deve concludersi prima dell'adunanza dei creditori, anche quando il piano prevede che la vendita o l'aggiudicazione abbia luogo dopo l'omologazione. In ogni caso, con la vendita o con l'aggiudicazione, se precedente, a soggetto diverso da colui che ha presentato l'offerta di cui al primo comma, quest'ultimo è liberato dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore e in suo favore il commissario dispone il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell'offerta entro il limite massimo del tre per cento del prezzo in essa indicato.
4. Il debitore deve modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all'esito della gara.
La disciplina del presente articolo si applica, in quanto compatibile, anche agli atti da autorizzare ai sensi dell'articolo 161, settimo comma, nonché all'affitto di azienda o di uno o più rami di azienda.
[7] Si tratta di una soluzione operativa ispirata ad uno strumento previsto in numerosi Paesi di Common law: negli Stati Uniti una procedura analoga è prevista per le società che invochino il “Chapter 11”. Strumenti simili sono esperibili in Canada in base al “Companies' Creditors Arrangements Act.”, mentre nel Regno Unito, i “pre-pack” si sono diffusi dopo l'“Enterprise Act 2002”, che ha reso la procedura di “Administration” (amministrazione giudiziale) lo strumento più diffuso per la gestione delle insolvenze. La società in amministrazione controllata viene gestita nell’interesse dei creditori da un amministratore giudiziale che ha il potere di ricapitalizzare la società per cederla a terzi o scorporarla in più entità da porre sul mercato, liquidare le attività residue e ripartire il ricavato tra i creditori. Una procedura analoga è prevista in Olanda, ove il portale governativo di informazione per le imprese spiega che con il “Pre-pack” l’amministrazione dell’azienda viene affidata ad un “silent manager” che verifica la possibilità di una “ripartenza” dopo la dichiarazione di fallimento e che, a seguito di tale dichiarazione, viene nominato curatore. Nel frattempo, l’attività continua normalmente, i fornitori possono continuare a consegnare e il personale può continuare a lavorare, di modo che, intervenuta la dichiarazione di fallimento, l’azienda può essere venuta a terzi (https://business.gov.nl/ending-your-business/closing-down-your-business-or-bankruptcy/pre-pack-bankruptcy/ ).
[8] Sulla ampiezza e varietà dei contenuti che può assumere il procedimento cautelare innominato di cui all’art. 15, comma 8, LF, si rimanda alla rassegna giurisprudenziale citata in AAVV, Codice commentato del fallimento, diretto da C. LO CASCIO, Milano 2017, p. 208 e ss.
[9] A. SAVOIA, Il bilancio delle imprese OIC adopter in tempi di crisi, in: AA. VV., Oltre la crisi, riflessioni e proposte sui nodi che ostacolano la ripartenza, Egea, Milano, 2020, p. pagina 377 e ss. Dallo studio di A. SAVOIA citato, e cui si rimanda per eventuali approfondimenti, sono tratte le considerazioni riportate di seguito.