Il nuovo intervento della Corte Costituzionale in tema di licenziamenti individuali ...
Avv. Marco Andrea Baudino Bessone Con la recente ...
La discussione sull’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19 e la sua compatibilità con l’art. 32 della Costituzione e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Le recenti pronunce della Corte europea e il loro impatto su tale argomento.
L’imposizione di un obbligo di vaccinazione comporta una forte ingerenza nel godimento di alcuni diritti protetti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. L’8 aprile 2021, la Corte europea si è pronunciata per la prima volta sulla questione, dettando principi e linee guida utili per gli Stati che discutono sull’imposizione di obblighi di vaccinazione contro il Covid-19 al fine di garantire la salute pubblica e i diritti delle persone più vulnerabili.
Il diritto alla salute comprende il principio del consenso libero e informato secondo cui nessuno può essere obbligato a sottoporsi a un determinato trattamento sanitario. Tale principio è quindi il presupposto di legittimità del trattamento medico che non può essere imposto ma deve essere voluto dall’interessato. In quanto quindi regola fondamentale di diritto, il principio del consenso libero e informato è enunciato in vari trattati internazionali e norme nazionali, in particolare a livello europeo dall’articolo 5 della Convenzione di Oviedo[1], e in Italia dall’articolo 32 della Costituzione.
Tuttavia negli ultimi anni, in deroga a tale principio, alcuni Stati europei, tra cui anche l’Italia, hanno imposto obblighi di vaccinazione al fine di contrastare diverse malattie infantili ben conosciute dalla scienza e molto diffuse nella popolazione, tra cui per esempio il tetano o la rosolia. In particolare, tali obblighi sono stati introdotti dagli Stati al fine di garantire la salute pubblica a fronte di un pericoloso calo del tasso di vaccinazioni degli ultimi anni.
Numerosi dibattiti si sono susseguiti sull’impatto degli obblighi di vaccinazione imposti dagli Stati sul godimento di alcuni diritti umani, in particolare il diritto all’autodeterminazione nella scelta delle cure sanitarie e il diritto a rifiutare trattamenti medici che siano contrari alla propria coscienza o religione, protetti rispettivamente dall’articolo 8 e 9 della Convenzione europea dei diritti umani. Infatti, benché gli Stati non possano costringere nessuno a subire la vaccinazione, essi hanno previsto nelle loro leggi nazionali diverse sanzioni in caso di inosservanza all’obbligo imposto. Tali sanzioni possono limitare notevolmente il godimento dei diritti umani e comportare una pressione politica, sociale ed economica tale da costringere a vaccinarsi coloro che sono contrari.
La questione è divenuta oggi di particolare rilevanza dal momento che la diffusione del Covid costringe gli stati a una campagna di vaccinazione di massa e si discute sulla necessità di imporre per legge l’obbligo di vaccinazione senza limitazioni di età. Da parte loro alcuni denunciano il rischio che si instauri una vera e propria dittatura sanitaria in violazione del diritto di autodeterminazione nella scelta delle cure sanitarie.
Tra il 2013 e il 2015 sono stati presentati diversi ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sull’obbligo di vaccinazione imposto in Repubblica Ceca contro diverse malattie infantili. In particolare, nell’affare denominato Vavřička e altri c. Repubblica Ceca[2], i ricorrenti si lamentavano che l’obbligo imposto dalle legge e le sanzioni previste in caso di inosservanza a tale obbligo violassero i loro diritti garantiti dalla Convenzione europea.
L’8 aprile 2021, la Corte europea ha deciso sulla questione pronunciandosi per la prima volta sulla conformità degli obblighi di vaccinazione alla Convenzione europea. La sentenza della Corte europea assume quindi oggi grande rilevanza, costituendo un rilevante precedente che consente di fare chiarezza sull’argomento.
La legge della Repubblica Ceca impone un obbligo di vaccinazione contro alcune malattie infantili e, in caso di inadempimento all’obbligo previsto, l’applicazione delle seguenti sanzioni: la non ammissione dei bambini non vaccinati alla scuola dell’infanzia e l’imposizione ai genitori di una ammenda non superiore ai 400 euro.
Diversi ricorsi sono stati presentati contro tale legge alla Corte europea. I ricorrenti sostenevano in particolare che l’imposizione dell’obbligo di vaccinazione e le sanzioni previste dalla legge violassero i loro diritti fondamentali protetti dall’articolo 8 della Convenzione europea, in particolare il diritto all’autodeterminazione in materia di scelte sanitarie, nonché il loro diritto allo sviluppo poiché la non ammissione alla scuola dell’infanzia aveva comportato gravi difficoltà durante il loro percorso scolastico.
La Corte europea ha deciso che l’obbligo di vaccinazione previsto dalla legge ceca non viola l’articolo 8 della Convenzione europea. Infatti, secondo la Corte europea, benché un obbligo di vaccinazione comporti una forte ingerenza nel godimento dei diritti previsti dalla Convenzione, esso non costituisce di per sé una violazione della stessa. Piuttosto, la conformità dell’obbligo di vaccinazione alla Convenzione è una questione di proporzionalità tra il fine perseguito e le misure adottate per perseguire tale fine. Quindi, se la Corte riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento sulle scelte riguardanti la sanità pubblica, le misure da loro adottate per garantirla devono essere necessarie e non costituire un’ingerenza arbitraria nel godimento dei diritti umani garantiti dalla Convenzione. Gli Stati devono adottare le misure meno invasive possibili, a seconda della circostanze nazionali, al fine di garantire la salute pubblica.
Nel caso di specie, la Corte europea ha ritenuto che l’obbligo di vaccinazione previsto dalla legge ceca fosse proporzionale al fine perseguito, ovvero la protezione della sanità pubblica e la protezione dei soggetti più vulnerabili che non possono vaccinarsi. Infatti, secondo la Corte, le sanzioni previste dalla legge ceca non sono eccessivamente severe e la loro natura non è punitiva ma protettiva della salute dei bambini.
Tuttavia, la Corte ha richiesto agli Stati di rispettare diverse garanzie qualora essi impongano un obbligo di vaccinazione. In particolare essi devono garantire l’accesso all’informazione sulla campagna vaccinale, effettuare un controllo sugli effetti dei vaccini sulla popolazione, e prevedere nella normativa nazionale un diritto al risarcimento in caso di danni alla salute causati dalla somministrazione di vaccini.
Sulla scorsa dei principi dettati dalla Corte europea nella citata sentenza, sembra dunque non esclusa la possibilità per gli Stati di imporre un obbligo di vaccinazione contro il Covid-19, purché le misure adottate siano proporzionali al fine perseguito. La Corte si è infatti anche espressa a favore della vaccinazione come strumento per combattere contro le malattie epidemiche, affermando che si tratta di un atto di solidarietà collettiva, in cui la maggior parte della popolazione assume un rischio minimo per proteggere i soggetti più vulnerabili.
Ciò nonostante, bisogna rilevare che ad oggi nessuno Stato europeo ha ancora imposto un obbligo generale di vaccinazione contro il Covid-19 per tutta la popolazione. Tuttavia, alcuni Stati hanno previsto, o stanno per prevedere, obblighi di vaccinazione per alcune categorie di persone che sono più esposte alla possibilità di contagio quali gli operatori sanitari, il corpo insegnante, o i funzionari pubblici.
L’Italia è stato il primo Paese europeo a imporre un obbligo di vaccinazione contro il Covid-19 per gli operatori sanitari. In caso di inadempimento all’obbligo previsto, la legge italiana prevede la sospensione del lavoratore non vaccinato dal diritto di svolgere mansioni che comportano il rischio di diffusione del Covid-19 fino al 31 dicembre 2021. La legge prevede che al lavoratore colpito da tale sospensione devono essere attribuite altre funzioni, anche inferiori, che non implichino il rischio di contagi. Il trattamento del lavoratore è corrispondente alla nuova mansione da lui esercitata. Tuttavia, nell'impossibilità di attribuirgli tale funzione, la legge prevede che il lavoratore sia sospeso da ogni funzione senza ricevere alcuna retribuzione o altro compenso.
L’obbligo di vaccinazione imposto dalla legge italiana per gli operatori sanitari ha fatto molto discutere sulla sua conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Da un lato, le misure previste dalla legge non sembrano perseguire uno scopo punitivo quanto piuttosto evitare la diffusione della pandemia in un settore ad alto rischio di contagi. Infatti, la legge italiana prevede la sospensione del lavoratore solo quando egli compie funzioni che, per contatto o per altro motivo, comportino il rischio di diffusione dei contagi. Tuttavia, la sanzione prevista in caso di non adempimento all’obbligo di vaccinazione comporta un’importante ingerenza nei diritti degli interessati, che nel migliore dei casi si vedono attribuire un’altra funzione con parità di trattamento e, nel peggiore dei casi, sono sospesi da ogni funzione senza percepire alcuna retribuzione o compenso. È dubbio se, in base alla giurisprudenza della Corte europea, tali sanzioni costituiscano misure necessarie e proporzionali al fine di evitare il rischio di contagi in un settore ad alto rischio, oppure se esse comportino ingerenze arbitrali nel godimento dei diritti umani protetti dalla Convenzione europea.
Ad oggi, trecento professionisti hanno presentato al TAR di Brescia un ricorso contro la legge italiana che prevede l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, sostenendo l’incostituzionalità di tale provvedimento. Sebbene il tribunale amministrativo non si sia ancora pronunciato definitivamente, esso ha emesso una recente ordinanza in cui ritiene rilevanti alcune argomentazioni sollevate dalle agenzie di tutela della salute.
È importante accennare in questa breve analisi alle recenti evoluzioni normative che riguardano il rilascio di pass sanitari per circolare liberamente nell’Unione europea e per accedere ad alcuni servizi o partecipare agli eventi.
Dal primo luglio è infatti entrato in vigore il regolamento sul certificato Covid digitale dell'UE che prevede il rilascio di un pass sanitario a ogni cittadino e residente dell’Unione europea al fine di permettere la libera circolazione nell’Unione europea durante la pandemia Covid-19[3]. Per evitare discriminazioni arbitrarie è stato previsto il rilascio di tale pass sia a chi si è sottoposto a vaccinazione sia a chi invece non si è vaccinato. Infatti, il pass sanitario è rilasciato alle persone che hanno completato il ciclo di vaccinazioni da due settimane, ma anche da coloro che, non vaccinati, hanno effettuato un test Covid-19 con risultato negativo entro le 72 o 48 ore prima del viaggio a seconda del tipo di test effettuato. Inoltre, è rilasciato un pass sanitario con durata di sei mesi anche a coloro che sono guariti dal Covid-19.
Tuttavia, in questi giorni si discute in alcuni Stati europei sul rilascio di un pass sanitario, equivalente a quello precedentemente analizzato, anche per accedere a differenti servizi, quali ristoranti o mezzi di trasporto pubblico, e per partecipare ad alcuni eventi. Tale misura comporterebbe un’importante ingerenza nei diritti delle persone che, non vaccinate, dovrebbero sottoporsi a un test covid-19 ogni 48 o 72 ore prima di accedere a determinati servizi o partecipare a determinati eventi.
A tal merito, è importante evidenziare che il Consiglio d’Europa si è recentemente espresso nella risoluzione 2361 del 2021 sui vaccini contro il Covid-19[4]. Esso ha fortemente incoraggiato campagne di vaccinazione su base volontaria e ha affermato che nessuno deve subire pressioni politiche, economiche e sociali per vaccinarsi. L’imporre di effettuare un test Covid-19 ogni 48 o 72 ore per accedere a servizi utilizzati quotidianamente oppure per partecipare a differenti eventi sociali può effettivamente comportare una pressione politica e sociale tale da obbligare le persone contrarie a vaccinarsi, ponendosi quindi in contrasto con le linee guida previste dal Consiglio d’Europa. In particolare, può porsi il dubbio che misure meno invasive dei diritti umani possano essere messe in atto per garantire la salute pubblica.
D’altro lato, però, la crisi sanitaria ed economica creata dalla pandemia Covid-19 ha richiesto l’imposizione di misure drastiche al fine di combattere il virus e per assicurare la salute individuale e pubblica, misure che hanno notevolmente limitato il godimento dei diritti umani. E bisogna rilevare che nei casi di estrema urgenza, la Corte europea ha sempre concesso agli Stati ampio margine di apprezzamento, in quanto essi sono i primi a saper meglio valutare quali misure siano necessarie per affrontare la crisi in questione.
Avv. Marco Baudino Dott.ssa Francesca Baudino
[1] Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina, Serie dei Trattati Europei - n° 164, adottata ad Oviedo il 4 aprile 1997, entrata in vigore il 1 dicembre 1999, art. 5.
[2] Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 aprile 2021, ricorso numero 47621/13 e 5 altri, causa Vavřička e altri c. Repubblica ceca.
[3] Regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19, GU L 211 del 15.6.2021.
[4] Consiglio d’Europa, Assemblea Parlamentare, risoluzione n. 2361/2021: considerazioni sulla distribuzione e somministrazione dei vaccini contro il COVID-19, Anno 2021.