Brevi note sull’adeguatezza del sistema di trasparenza e responsabilità degli organi di gestione e controllo degli Enti del terzo Settore

30 ago 2023

Avv. Carlo Piola

Il consolidarsi delle politiche di finanziamento pubblico a favore degli Enti del Terzo Settore, soggetti di diritto privato, conduce ad ulteriori interrogativi sull’adeguatezza del sistema di governance di tali Enti, come delineato dal Codice del Terzo Settore. 
 
Con Decreto Ministeriale del 20 luglio 2023, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato l’atto di indirizzo recante l’individuazione delle aree prioritarie di intervento pubblico a favore degli Enti del Terzo Settore (ETS)[1].
Si tratta di un documento con il quale lo Stato ha deliberato, per il corrente anno 2023, di finanziare progetti nel Terzo Settore per un importo pari a poco meno di Euro trentatré milioni, con la facoltà del Ministero del Lavoro di autorizzare il finanziamento di ulteriori iniziative e progetti mirati non ammessi al contributo per insufficienza delle risorse stanziate, senza limiti di importo.   
 
Tale non trascurabile dispiegamento di risorse pubbliche a favore di Enti di diritto privato ed il consolidamento nel tempo di tali interventi, sono elementi che inducono una volta di più a riflettere sull’adeguatezza del sistema di norme contenute nel Codice del Terzo Settore (CTS)[2] volte a presidiare la trasparenza, la correttezza e la responsabilità dell’operato di coloro che rivestono funzioni di amministrazione e controllo degli Enti stessi e che si troveranno pertanto a gestire anche i finanziamenti pubblici di cui sopra si è detto.
 

I modelli in materia societaria applicati al mondo del Terzo Settore. Estensione e limiti.

Ad una prima lettura, le norme in materia di gestione e controllo degli ETS paiono convergere e sovrapporsi su quelle tipiche, contenute nel Codice civile e disegnate su misura per le società di capitali. Non sono infrequenti, infatti, nell’ordito normativo del CTS, le disposizioni che richiamano o rinviano puntualmente al sistema sanzionatorio della responsabilità gestoria previsto dal Codice civile per le società di capitali.
 
Si veda, ad esempio, l’articolo 28 del CTS, il quale dispone testualmente che “Gli amministratori, i direttori generali, i componenti dell’organo di controllo e il soggetto incaricato della revisione legale dei conti rispondono nei confronti dell’ente, dei creditori sociali, del fondatore, degli associati e dei terzi, ai sensi degli articoli 2392, 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis, 2395, 2396 e 2407 del Codice civile e dell’articolo 15 del decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 39, in quanto compatibili”.      
 
Una lettura più approfondita delle norme del CTS consente tuttavia di rilevare che il disegno del Legislatore del Terzo Settore non sempre è coerente nel richiamare come applicabili agli ETS le norme del Codice civile in tema di trasparenza nella gestione e responsabilità degli organi gestori e di controllo delle società di capitali. Pare anzi a chi scrive che il Legislatore del CTS, pur nel lodevole sforzo di riempire i vuoti normativi del precedente sistema normativo, che era fondato solo sulle scarne norme contenute nel Libro I, Titolo II (artt. 14 – 42) del Codice civile del 1942, abbia costruito un sistema gestorio per certi versi debole ed incerto.
 
La scelta del Legislatore del CTS, caratterizzata da minore incisività e rigore nel delineare le responsabilità degli organi di gestione e controllo degli ETS, differenziando così il sistema di questi ultimi dal sistema delineato per le società di capitali, trova per un verso comprensibile fondamento nella volontà di distinguere tra le responsabilità di chi gestisce Enti caratterizzati dallo scopo di lucro, quali appunto le società di capitali, dagli Enti, quali gli ETS, che si basano sui principi del libero associazionismo ai fini culturali, di volontariato e della pratica del dono (Art. 2 CTS) e che sono spesso connotati da limitate dotazioni patrimoniali e finanziarie.
Per altro verso, tuttavia, non va dimenticato che i principi e le caratteristiche organizzative e patrimoniali degli ETS testé evidenziati, contraddistinguono solo in parte il vastissimo mondo del libero associazionismo, popolato non solo da Enti dediti esclusivamente a cultura e volontariato, ma anche da Enti che, per le loro rilevanti dimensioni economiche ed organizzative, ad esempio in campo ospedaliero, sono potenzialmente in grado di influenzare l’area socioeconomica in cui essi operano[3]. E ciò senza menzione di quegli ETS che, pur in assenza di scopo di lucro, esercitano, di fatto, attività di impresa. [4]       
 
In questa situazione è lecito, ad esempio, chiedersi se ed in quali responsabilità incorrano gli amministratori degli ETS di rilevanti dimensioni organizzative ed economico patrimoniali per il caso di mancato adempimento agli obblighi previsti dall’art. 22 co. 5 del CTS, che impone loro di attivarsi tempestivamente nel caso in cui il patrimonio dell’ETS stesso si sia ridotto di oltre un terzo per effetto di perdite. Orbene, mentre la norma appena citata non prevede alcuna conseguenza per la violazione di tale obbligo, è noto che l’art. 2485 Codice civile, in materia di Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, dispone invece che “in caso di ritardo od omissione, (gli amministratori) sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori e dai terzi”.  Da tener inoltre presente che l’art. 2485 C.c. non compare neppure tra le norme richiamate dal già menzionato art. 28 del CTS. In questa situazione, la previsione dell’art. 22 co 5 del medesimo CTS, che impone, come detto, agli amministratori degli ETS il preciso dovere della tempestiva convocazione dell’assemblea per deliberare la ricostituzione del patrimonio oppure la trasformazione, la prosecuzione in forma di associazione non riconosciuta, la fusione o scioglimento dell’Ente, senza peraltro sanzionarne in alcun modo l’inadempimento, sembra porsi come mera norma di principio, svuotata di ogni contenuto coercitivo.
 
L’assenza di un chiaro impianto normativo, anche coercitivo, che traspare in talune pieghe del sistema giuridico posto a presidio degli ETS, rischia così di impattare su aspetti delicati della vita degli ETS stessi, quali la loro trasparenza e la conseguente capacità degli Enti di attrarre nuovi soci o di rendersi beneficiari di finanziamenti pubblici. Sotto altro profilo, un sistema sanzionatorio debole ed opaco, quando non addirittura inesistente, può incoraggiare atteggiamenti superficiali e negligenti od addirittura truffaldini da parte degli organi gestori, tantopiù ove si tratti di amministrare fondi pubblici.
 

Applicabilità agli ETS dei principi in materia di adeguati assetti organizzativi?

Sullo sfondo delle riflessioni appena svolte, non può mancare un accenno anche al tema dell’applicabilità o meno agli ETS del principio degli “adeguati assetti organizzativi”. 
Il tema degli adeguati assetti organizzativi[5] - già presente nella legislazione speciale in materia di società quotate, poi codificato a far data dalla riforma del diritto societario del 2003 ed inserito organicamente nel Codice civile nella parte relativa alle competenze ed ai doveri dell’organo gestorio delle società di capitali (art. 2381 C.c.) -, assume qui particolare rilievo anche in funzione della trasparenza nella gestione e rendicontazione dei fondi pubblici ottenuti dagli ETS.
 
Come noto, l’adeguatezza degli assetti organizzativi nella sfera dell’impresa ha ora assunto ulteriore dignità e profondità in ragione dell’introduzione, nel nostro ordinamento, per opera del Decreto Legislativo 14/2019 (C.d Codice della Crisi) del nuovo articolo 2086 del C.c., a norma del quale “L’imprenditore, che opera in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
 
Da tempo ci si è chiesti in dottrina[6] se i suddetti principi in tema di dotazione di adeguati assetti organizzativi siano applicabili anche agli ETS, dal momento che, anche su questo tema, è mancata al Legislatore del CTS la volontà di operare scelte chiare e rigorose; scelte che sarebbero state invero più che opportune e non difficili da attuare quantomeno per gli Enti di maggiori dimensioni, quali ad esempio, quelli individuati dall’art. 14 del CTS[7] o quelli tenuti, per entità di ricavi[8], a redigere il bilancio di esercizio in forma non “semplificata”.
 
Se infatti è difficile dubitare dell’applicazione dei principi in materia di adeguati assetti con riferimento a quegli ETS che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale (art. 11 comma 2 CTS), dubbi permangono per quegli Enti iscritti al Registro Nazionale del Terzo Settore (RUNTS)[9] che, pur non esercitando attività di impresa, sono in ogni caso, per le loro dimensioni organizzative ed economiche, in grado di impattare sul sistema socioeconomico in cui operano.
 
E benché il tema degli adeguati assetti organizzativi sia pressoché assente nell’ordito del CTS, che lo menziona solo per il caso in cui vi sia obbligo di nomina di un Organo di Controllo, il quale è investito della vigilanza “sull’osservanza della legge e dello statuto … nonché sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento” (art. 30 comma 6 CTS), vi è chi – con fondate argomentazioni - ritiene che l’obbligo di dotarsi di tali assetti riguardi tutti gli ETS[10].  
 

Conclusioni.

A prescindere dalle posizioni della dottrina, è certo che un più rigoroso dettato normativo, avente ad oggetto la costruzione obbligatoria di un sistema di procedure e regole interne all’Ente, in grado di assicurare trasparenza ed efficienza nella gestione dei processi interni all’Ente stesso, sarebbe, ad avviso di chi scrive, più che opportuno ed anzi necessario, anzitutto al fine di meglio garantire la destinazione dei flussi di denaro dovunque provenienti ed ovunque destinati, compresi i finanziamenti pubblici alla realizzazione dei progetti ritenuti meritevoli di intervento pubblico.

In un contesto normativo che non brilla certo per chiarezza e rigore ed in cui la giurisprudenza non ha ancora - od ha appena iniziato - a dispiegare le proprie funzioni interpretative, è pertanto opportuno, per chi assume cariche negli organi di gestione e controllo degli ETS e vuole cautelarsi rispetto all’insorgere di azioni di responsabilità mutuate dal diritto societario, agire con prudenza, trasparenza e diligenza, nello svolgimento delle funzioni che ne contraddistinguono l’operato.

Chi assume tali responsabilità, a parere di chi scrive, dovrà adottare - o curare che vengano adottate - procedure interne di governance di adeguata gestione e controllo ai diversi livelli di operatività dell’Ente; procedure che saranno tanto più articolate quanto maggiori sono le dimensioni organizzative ed economico patrimoniali dell’Ente. E tanto maggiori ed articolate sono tali dimensioni, quanto più trasparente dovrà essere l’attività svolta da parte di chi assume le responsabilità in questione, che non potrà inoltre trascurare di fornire la tempestiva informativa e rendicontazione all’organo assembleare, in ogni situazione in cui la delicatezza del frangente patrimoniale e finanziario attraversato dall’Ente o la necessità di assumere decisioni fuori dall’ordinario, renda necessaria od anche solo opportuna la convocazione dell’assemblea.   

 

[1] L’articolo 4 del Codice del Terzo Settore (cfr nota 2) dispone che sono Enti del Terzo Settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni e servizi, ed iscritti nel Registro Nazionale del Terzo Settore.    

[2] Il Codice del terzo Settore è stato emanato con decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117, in Suppl. Ordinario 43 alla Gazzetta Ufficiale 2 agosto 2017 n. 179.

[3] Sugli aspetti civilistici degli ETS e sull’influenza dell’esperienza nordamericana nella realizzazione dei modelli previsti dal Codice del Terzo Settore, si veda Fusaro A., Gli Enti del Terzo Settore. Profili Civilistici, in Trattato Civile e commerciale Cicu-Messineo, Giuffré, 2022. Sulle “non-profit organizations as response to government failure and market failure”, si veda Ellmann I.M., Another Theory of Nonprofit Corporations, Michigan Law Review, 1982.

[4] È il CTS a prevedere testualmente che “… gli Enti del Terzo Settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel Registro delle Imprese”.

[5]Si vedano in dottrina sul tema degli adeguati assetti, Baudino A., Guglielmi G., Roncari A.M. “Adeguatezza degli assetti organizzativi e sistema delle deleghe: alcuni suggerimenti per il finale di una storia infinita”, in Società e Contratti, Eutecne, 2020, 11, pagg. 3 segg.; Rordorf R. “Doveri e responsabilità degli organi di società alla luce del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, in Rivista delle Società 2019, 5, pp 929 ss.;   

[6] Donato F.D. “Gli Enti del terzo Settore ed il principio degli adeguati assetti organizzativi” in Impresa Sociale 2020, 4, pagg. 85 ss.

[7] Sono quegli Enti con ricavi, rendite, proventi, entrate, comunque denominate superiori ad Euro un milione e soggetti a determinate forme di pubblicità

[8] Sono quegli Enti con ricavi, rendite, proventi ed entrate, comunque denominate superiori ad Euro duecento venti mila e che devono redigere il bilancio di esercizio formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto gestionale e dalla relazione di missione. 

[9] A norma dell’art. 11, primo comma CTS, gli Enti del terzo Settore devono iscriversi nel Registro Unico Nazionale del terzo Settore ed indicano gli estremi dell’iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico.

[10] Donato F.D. cfr nota 6.