Preventive restructuring frameworks will help entrepreneurs overcome the COVID crisis

25 apr 2020

 

            

In un ottimo studio apparso il 15/4/2020 sulla rivista on line di diritto bancario, molto apprezzato e rilanciato sui social, il Prof. Maurizio Irrera[1] esprimeva le proprie perplessità circa l’utilità delle misure tampone varate con il DL 23/2020, ed in particolare di quelle che hanno sancito l’improcedibilità delle istanze di fallimento (anche su richiesta del debitore insolvente) e hanno differito al 1 settembre 2021 l’entrata  in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al Dlgs. 14/2019 (di seguito il CCII). L’Autore auspicava invece il potenziamento degli organici e delle capacità dei tribunali delle imprese e fallimentari per gestire la crisi d’impresa e ipotizzava la creazione di OCRI semplificate per affiancare le imprese nella delicata fase di gestione e superamento della crisi.

 

Questi suggerimenti dovrebbero essere raccolti trasversalmente dalle forze politiche e tradotti in alcune, sintetiche disposizioni di legge che potrebbero essere emanate anche in sede di conversione del D.L. 23/2020 (ad integrazione degli artt. 5-10 del capo II, in tema di “Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza covid-19”).

 

È quindi utile svolgere alcune riflessioni volte a tradurre le raccomandazioni contenute nello studio sopra richiamato in una proposta concreta.

 

Gli ammortizzatori sociali e le misure introdotte a sostegno della liquidità delle imprese non sono sufficienti per consentire alle imprese italiane il superamento della crisi

 

Come emerge chiaramente dai dati che sono sotto gli occhi di tutti, la crisi causata dall’emergenza Coronavirus e dalle misure restrittive emanate per contenere la diffusione del contagio non è solo finanziaria.

 

La prolungata limitazione e, in molti casi, la totale sospensione delle attività produttive, determinate dall’emergenza sanitaria, stanno producendo effetti pesantissimi, ed in alcuni casi devastanti, su un larghissimo numero di imprese, soprattutto piccole e medio piccole, che rappresentano comunque oltre il 95% del tessuto economico italiano. Con l’eccezione di alcuni comparti strategici esentati dalle misure restrittive (e che dall’emergenza sanitaria potranno trarre vantaggio – quanto meno sul breve/medio periodo – in termini di aumenti di ordini, margini e fatturato), la generalità delle imprese (non solo in Italia, ma in Europa e nel resto del mondo) subirà gli effetti di un incremento sensibile dei costi (conseguenti all’adozione delle misure igienico sanitarie) che andrà a sommarsi ad un calo significativo del fatturato (a causa delle limitazioni dell’attività, dell’annullamento di ordini, etc.): il che comporterà la necessità per le imprese di assorbire perdite rilevantissime che saranno solo in minima parte mitigate dal ricorso agli ammortizzatori sociali ed alle provvidenze previste dalla legislazione di emergenza.

 

Le misure finanziarie introdotte dal DL 18/2020 e dal DL 23/2020 a sostegno della liquidità delle imprese (al di là della macchinosità e degli elementi di discrezionalità che ne pregiudicheranno l’efficacia) sono dunque palesemente inidonee a gestire una crisi che è e sarà soprattutto economica, e che presenta gravi elementi di incertezza con riferimento tanto alla sua durata quanto alle modalità ed alle concrete possibilità di un suo superamento.

 

La disapplicazione degli obblighi di ricapitalizzazione di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c. - da noi sollecitata e recepita dall’art. 6 del DL 23/2020 – costituisce uno strumento fondamentale per consentire alle imprese di poter valutare con la dovuta ponderazione le concrete possibilità di ripresa e di rilancio ed evitare  che questa situazione di eccezionale difficoltà possa essere sfruttata da gruppi stranieri o investitori puramente finanziari per effettuare operazioni speculative di “shopping” o scalate ostili, o ancor peggio possa favorire l’affermazione di attività illecite, fenomeni di riciclaggio o infiltrazioni mafiose. Dalla necessita di adottare una strategia di prudente attesa (volta ad evitare un’applicazione troppo tempestiva e affrettata delle disposizioni che impongono la ricapitalizzazione della società in caso di perdita del capitale e, in mancanza, la sua liquidazione), non consegue tuttavia che la società in default possa proseguire la propria attività in perdita, incrementando il passivo in danno dei creditori sociali e sfuggendo ad ogni sanzione. L'art. 2486 c.c. stabilisce infatti che al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna dei beni ai liquidatori, “gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale”. La predetta disposizione, inoltre, prevede che gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i “danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma”.

 

Occorre quindi che le imprese in crisi possano negoziare - in modo rapido, efficace e ragionevolmente sicuro per tutte le parti coinvolte - accordi di ristrutturazione del debito con tutti o con alcuni dei creditori al fine di riorganizzarsi e continuare a operare dopo il superamento della crisi e a seguito dell’adozione delle necessarie misure correttive: salvaguardando così i livelli occupazionali,  il valore dell’azienda e la funzione di garanzia generica che essa riveste per i creditori e per i terzi, a vantaggio di tutti gli stakeholder su cui gli effetti della crisi inevitabilmente si riverberano (il riferimento è ai principi enunciati dalla direttiva 1024/2019 UE e posti a base del D. Lgs. 14/2019, contenente il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza).

 

Occorre agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese a quadri semplificati di ristrutturazione preventiva, come previsto alla direttiva 1023/2019 UE, con l’assistenza di professionisti esperti e a costi contenuti

 

L’art. 5 del DL 23/2020 ha differito al 1°settembre 2021 l'entrata in vigore del CCII, sulla base della considerazione (esposta nella Relazione Tecnica al DL 23/2020) che il sistema delle c.d. misure di allerta, volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese, sarebbe stato “concepito nell’ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche” e che “in  una situazione in cui l’intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.

 

L’osservazione è corretta. Tuttavia il differimento della data di entrata in vigore del Dlgs 14/2029, disposto senza distinguere tra le varie disposizioni contenute nel CCII, ha purtroppo l’effetto di precludere l’accesso delle PMI anche alle misure di composizione assistita della crisi di cui agli artt. 16-25 CCII: misure che sono invece destinate ad operare anche indipendentemente dall’attivazione degli strumenti di allerta e che  avrebbero invece consentito di far fonte alle esigenze esposte al paragrafo che precede.

 

Gli estensori della norma giustificano la scelta di rinviare l’applicazione del CCII con l’opportunità “che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine”. Ma questa considerazione non è assolutamente condivisibile.

 

Chi ha dimestichezza con il sistema disciplinato dalla Legge Fallimentare (un RD risalente al 1942, sottoposto nel corso degli anni a vari interventi di “restyling” volto ad adeguarlo alle esigenze dei tempi) sa perfettamente che le procedure di concordato sono spesso impercorribili per le complessità, i temi, gli intoppi procedurali ed il costo spropositato che comportano: con il risultato di trasformarsi, nella maggior parte dei casi, in una inutile e costosa anticamera del fallimento.

 

È inoltre irrealistico ipotizzare che il vecchio, costoso e macchinoso sistema di gestione delle insolvenze disciplinato dal RD 267/1942 – rivelatosi inidoneo a supportare le impese in un quadro economico di (relativa) normalità – sia in grado di affrontare un’emergenza che non ha precedenti e che, secondo le rilevazioni effettuate da CERVED,  con misure che di fatto fermano l’economia delle aree più produttive del paese, esporrà al rischio di fallimento un’impresa  su dieci[2].

 

Di fronte a questo scenario, le già limitate forze di cui dispongono le Sezioni fallimentari dei nostri Tribunali saranno palesemente insufficienti a gestire il sovraccarico di procedure concorsuali minori che inevitabilmente si genererà nei mesi a venire. Occorre quindi privilegiare il ricorso agli strumenti già disponibili (di composizione assistita della crisi), volti al raggiungimento di accordi negoziato tra tutte le parti coinvolte, introdotti dal Legislatore italiano (in esecuzione di precise indicazioni di rango comunitario) per alleviare il carico dei Tribunali e favorire la soluzione stragiudiziale dei conflitti sottraendoli alla tradizionale competenza delle autorità giudiziarie ed affidandoli alla gestione di professionisti provvisti di specifica competenza.

 

La decisione di privilegiare e perpetuare il vecchio sistema delineato dal regio decreto del 1942 si pone inoltre in netto contrasto con le indicazioni della direttiva 1023/2019 UE. Tali indicazioni mirano infatti ad agevolare l’imprenditore  ad affrontare e superare la crisi con strumenti rapidi, semplici e facilmente accessibili, e  sono  perfettamente conformi allo spirito delle nuove disposizioni del CCII in tema di composizione assistita della crisi (volte  - come precisa la Relazione - a fornire agli imprenditori un “vero e proprio servizio” di assistenza nei negoziati “per il raggiungimento dell’accordo con i creditori o, eventualmente, anche solo con alcuni di essi (ad esempio quelli meno conflittuali, o più strategici)”.

 

Occorre quindi “correggere il tiro”, recuperando la valenza di alcune norme e istituti introdotti dal CCII, già definiti, studiati e di ormai prossima applicazione, e riscrivere l’art. 5 del DL 23/2020 (che ha differito al 1°settembre 2021 l'entrata in vigore del CCII), limitando la portata di una disposizione che – se confermata - determinerà effetti opposti a quelli voluti con l’emanazione del DL 23/2020.

 

Norme vecchie e nuove a confronto: la procedura di composizione assistita di cui agli artt. 16-23 CCII ha già gli strumenti necessari per gestire le situazioni di crisi causate dalla pandemia di Covid19

 

Come si evince da un rapido confronto della disciplina  prevista dagli artt. 16-25 CCII con quella della LF in tema di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo, la procedura di composizione assistita della crisi si presenta come uno strumento agile, rapido ed efficace per gestire la crisi in tutte le situazioni (che gran parte delle PMI italiane si vedranno purtroppo verosimilmente costrette ad affrontare) in cui – per le dimensioni dell’attività e per il numero contenuto delle banche, dei creditori e dei forni-tori strategici – sia possibile riunire o quantomeno convocare le parti interessate attorno ad un tavolo, e il numero dei lavoratori sia tale da consentire una gestione personalizzata dei rapporti di lavoro.

 

Ed infatti, l’accesso alla procedura di composizione assistita:

 

1)          non costituisce causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con la P.A., né di revoca degli affidamenti bancari concessi. Sono nulli i patti contrari (art. 12. CCII);

2)          consente di chiedere alla sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale competente (…) le misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso  (artt. 20 e 54 CCII);

3)          comporta (a far data dell’iscrizione della domanda nel Registro delle Imprese) l’improcedibilità/nullità delle azioni esecutive e cautelari promosse dai creditori per titolo o causa anteriore (artt. 20 e 54 CCII);

4)          comporta la sospensione delle prescrizioni e l’inoperatività delle decadenze (artt. 20 e 54 CCII);

5)          consente di chiedere il differimento degli obblighi di ricapitalizzazione previsti dagli artt. 2446, 2447, 2482-bis, e 2482-ter c.c., e la non operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli art. 2484, comma 1, n. 4), e 2545-duodecies c.c. (art. 20 CCII) - per il caso in cui fosse necessario usufruite di un termine di sospensione maggiore di quello disposto dall’art. 7 del Dl 23/2020;

7)          consente di negoziare e pattuire con i creditori condizioni di pagamento differenziate, senza il rispetto della «par condicio» e senza incorrere, quindi, nel rischio di effettuare pagamenti preferenziali (art. 19, comma 4) . Per cui non potranno essere assoggettati ad azione revocatoria, e non potranno costituire fonte di responsabilità gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore pattuiti con le controparti e posti in essere in esecuzione dell’accordo concluso.

 

Inoltre, rispetto alle procedure previste dalla LF, la composizione assistita consente:

 

a)          un sensibile risparmio di costi professionali (di attestatori, commissari, etc.);

b)          un sensibile risparmio di spese di procedura (essendo possibile evitare il deposito delle somme necessarie a far fronte alle spese di procedura);

c)          una considerevole riduzione dei tempi necessari per il raggiungimento di un accordo.

 

Infine, l’accesso alla procedura di composizione assistita non è sottoposto al vaglio dell’autorità giudiziaria e l’accordo raggiunto non è soggetto a omologhe o ad altre forme di verifica da parte di organi giudiziari che possano interferire sulle libere scelte delle parti.

 

Gli accordi tra l’impresa in crisi ed i creditori, comunque raggiunti, presuppongono inoltre necessariamente la predisposizione di un piano. Questo piano, seppur semplificato, deve essere in grado di illustrare le ragioni che hanno determinato il verificarsi delle perdite e fornire gli elementi necessari per far ritenere che le rinunce da parte dei creditori, le eventuali immissioni di nuova finanza e le iniziative intraprese dall’organo gestorio siano complessivamente idonee per superare la crisi o comporla, garantendo il rilancio dell’impresa.

 

Orbene, la procedura di composizione assistita della crisi – che mette a disposizione dell’impresa in crisi un servizio svolto da professionisti esperti e provvisti di specifiche competenze – costituisce la sede ideale per valutare, in contradditorio tra le parti coinvolte, la sostenibilità del piano di riorganizzazione.

 

Occorre potenziare gli organici e valorizzare il ruolo dei professionisti, ed in particolare di Avvocati e Commercialisti, nell’assistenza alle imprese in difficoltà

 

Il vero problema che oggi occorre affrontare in modo tempestivo è quello dell’inadeguatezza degli organici delle strutture deputate a gestire la composizione delle crisi di fronte ad un fenomeno che avrà dimensioni eccezionali.

 

Si consideri che, ancor prima che venissero diffusi i dati relativi all’emergenza da coronavirus, secondo la stima dei volumi di attività potenziale per il biennio 2020-2021 effettuata dalle Camere di Commercio   l’attività cui gli OCRI avrebbero dovuto far fronte riguardava un numero compreso tra 35.000 e 50.000 imprese. Questi numeri sono tuttavia nulla rispetto ai risultati degli stress test effettuati dalle agenzie di rating,  dai quali emrge che l’emergenza da coronavirus mette a rischio il 65% delle imprese italiane[3].

 

L’imponenza del fenomeno potrà dunque essere gestita in modo efficace solo ampliando il numero dei soggetti abilitati a svolgere il ruolo degli OCRI disciplinati dagli artt. 16 e ss. Dl CCII. E ciò potrà avvenire stabilendo che, sino all’entrata in vigore a pieno regime del Dlgs. 14/2019, le funzioni degli Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa di cui agli artt. 12 e segg. del CCII siano svolte da un professionista incaricato dal debitore iscritto nell’albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, ovvero iscritto nell’albo dei revisori legali, e in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dall’art. 2399 del c.c..

 

Questa soluzione dovrebbe consentire di contemperare in modo adeguato l’esigenza di ampliare il novero dei soggetti abilitati a svolgere le funzioni degli OCRI con l’esigenza di garantire che tali funzioni vengano assolte da professionisti provvisti dei necessari requisiti minimi di competenza ed indipendenza.

 

Questa soluzione sarebbe inoltre coerente con le prescrizioni della direttiva 1023/2019 UE, che all’art. 5, comma 3, espressamente prescrive che gli Stati membri “provvedono alla nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione per assistere il debitore e i creditori nel negoziare e redigere il piano almeno nei seguenti casi: a)  quando, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 3, una sospensione generale delle azioni esecutive individuali è concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa e detta autorità decide che tale professionista è necessario per tutelare gli interessi delle parti; b) quando il piano di ristrutturazione deve essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa mediante ristrutturazione trasversale dei debiti conformemente all'articolo 11; oppure c)  quando la nomina è richiesta dal debitore o dalla maggioranza dei creditori, purché, in quest'ultimo caso, i creditori si facciano carico del costo del professionista”.

 

Infine, la soluzione proposta da un lato consentirebbe di creare nuove aree di competenza e nuove opportunità di lavoro in settori di attività oggi spesso caratterizzati dal prevalere di mansioni routinarie e scarsamente incentivanti; d’altro lato offrirebbe un’occasione importante per esaltare il ruolo delle professioni liberali in un momento particolarmente difficile per il Paese, in cui Avvocati e Commercialisti saranno chiamati a svolgere un compito fondamentale di rilevanza sociale nella difesa del valore che l’impresa assume nell’economia contemporanea.

 

Occorre garantire la pre-deducibilità dei crediti per i compensi delle prestazioni professionali rese ai fini dell’accesso alla procedura di composizione della crisi

 

Per incentivare il ricorso alla procedura di composizione assistita della crisi occorrerà inoltre rimuovere una sperequazione nel trattamento dei compensi delle prestazioni professionali rese ai fini dell’accesso alla procedura. Infatti, ai sensi dell’art. 6 CCII, non sono prededucibili i crediti professionali per prestazioni rese su incarico conferito dal debitore durante le procedure di allerta e composizione assistita della crisi a soggetti diversi dall’OCRI. (Mentre, in base alla stessa disposizione, sono prededucibili solamente i crediti relativi a spese e compensi per le prestazioni rese dall’organismo di composizione della crisi di impresa). Ed ancora, diversamente da quanto previsto dall’art. 166, comma 3, CCII per le prestazioni professionali strumentali all’accesso al concordato preventivo, i pagamenti delle prestazioni di consulenza volte a consentire l’accesso dell’imprenditore alle procedure di composizione assistita della crisi non sono esclusi dall’azione revocatoria.

 

Questa disparità di trattamento costituisce una evidente distorsione del sistema e si presta ad evidenti censure di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.: in quanto non esistono ragioni per sottoporre ad un trattamento differenziato presta-zioni professionali che, in entrambi i casi, sono volte a garantire al debitore l’assistenza necessaria per poter risolvere la crisi in via preventiva, perseguendo le stesse finalità di pubblico interesse evidenziate dal Legislatore comunitario e recepite dal Legislatore nazionale. Anzi, nella situazione di eccezionale emergenza generata dalla pandemia di coronavirus, che coinvolgerà centinaia di migliaia di imprese in processi di riorganizzazione e ristrutturazione del debito, l’assistenza dei professionisti è destinata ad assumere un ruolo centrale ai fini della concreta applicazione delle misure introdotte dalla nuova disciplina e al raggiungimento degli obiettivi che il Legislatore comunitario e il Legislatore nazionale si sono proposti. È pertanto necessario che il Legislatore intervenga per eliminare questa disarmonia e rendere lo strumento più appetibile in un contesto di diffusa insicurezza in cui i professionisti accetteranno gli incarichi solo alla condizione che vi sia una ragionevole certezza che i compensi percepiti per l’attività svolta non debbano essere restituiti in caso di fallimento.

 

Occorre estendere agli accordi di composizione assistita della crisi lo stesso trattamento fiscale perviste per gli accordi di ristrutturazione omologati con riferimento alle sopravvenienze attive e alle perdite su crediti derivanti dalle falcidie pattuite con l’accordo

 

Per incentivare il ricorso alla procedura di composizione assistita della crisi occorrerà infine eliminare alcune incertezze che oggi permangano in ordine al trattamento fiscale delle sopravvenienze attive (per il debitore) e (per i creditori) delle perdite su crediti derivanti dalle falcidie pattuite con l’accordo di composizione assistita della crisi.

 

Invero, come opportunamente rilevato da M. BANA in un intervento del settembre scorso, “la formulazione letterale dell’art. 19 comma 4 del Dlgs. 14/2019 sembrerebbe limitare l’applicazione all’accordo di composizione assistita dei soli effetti del piano attestato di risanamento previsti dal Codice della crisi. Non sarebbe, pertanto, invocabile l’operatività delle agevolazioni fiscali previste per le sopravvenienze attive da riduzione di debiti, che verrebbero assoggettate alle regole ordinarie, con conseguente imponibilità in sede di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del comma 1 dell’art. 88 del TUIR, non ricorrendo formalmente i presupposti di detassazione di cui al successivo comma 4-ter[4].

 

Occorre quindi evitare che un’interpretazione letterale delle disposizioni sopra richiamate, penalizzando sotto il profilo l’accordo di composizione assistita della crisi, finisca con il disincentivare il ricorso alla procedura di composizione assistita, frustrando gli obiettivi del CCII e della stessa direttiva 1023/2019 UE e pregiudicando le potenzialità di uno strumento che potrebbe invece assumere un ruolo strategico nel traghettare in salvo le imprese travolte dalla tempesta coronavirus.

 

A tal fine è auspicabile un intervento normativo volto ad estendere espressamente all’accordo di composizione della crisi i medesimi effetti fiscali del piano attestato di risanamento.

 

Conseguentemente, “le sopravvenienze attive generate dalle falcidie pattuite in sede di accordo potrebbero essere detassate dal debitore a norma dell’art. 88 comma 4-ter del TUIR, minimizzando il carico fiscale del piano e le uscite finanziarie destinate al pagamento delle imposte, massimizzando la soddisfazione dei creditori. I creditori, nell’ipotesi di falcidia, potrebbero, pertanto, dedurre l’eventuale perdita su crediti (art. 101 comma 5 del TUIR) e recuperare l’IVA sulla parte insoddisfatta, tramite la nota di variazione, senza limiti temporali, ai sensi dell’art. 26 comma 2 del DPR 633/1972[5].

 

 

 

 

©  Alessandro Baudino – Elena Ferrara

 

[1] M.IRRERA, Le procedure concorsuali al tempo del coronavirus: alcune proposte, in www.dirittobancario.it,  06/04/2020.

[2] I dati sono illustrati nello studio: Cerved Rating Agency – The impact of Coronavirus on Italian non-financial corporates, reperibile su https://know.cerved.com.

[3] Cfr.: F. GEROSA, Le imprese a rischio default con il coronavirus sono il 65% delle Pmi italiane, su www.milanofinanza.it, 23/03/2020.

[4] M.BANA, Accordo di composizione assistita della crisi con incognita fiscale, in www.eutekne.info, Lunedì 16 settembre 2019.

[5] Le conclusioni sopra riportate sono sempre tratte dall’articolo di  M. Bana, ciatio alal nota precedente.